il manifesto
E’ arrivato il momento di un “contro-sondaggio” sul valore legale del titolo di studio. Lo presenteranno domattina a Roma, nella sala Nassirya del Senato, i docenti della Convenzione Nazionale della scuola bene comune insieme ai ricercatori e agli studenti dell’Assemblea Università Bene comune . Al sondaggio, composto da 11 quesiti, si potrà accedere da questo sito. L’iniziativa verrà promossa anche nelle scuole e nelle università. Le risposte raccolte entro il 24 aprile, data di scadenza della consultazione online con la quale il governo intende conoscere il parere degli italiani sull’abolizione del valore legale del titolo di studio, verranno depositate al ministero dell’Istruzione: “pretenderemo che le opinioni che abbiamo raccolto - affermano i promotori - siano ascoltate. Più che un sondaggio, è un plebiscito in favore dell’abolizione del valore legale. Questa non è una consultazione, ma una “truffa” costruita ai danni dei cittadini. Le domande sono infatti complesse e difficili, mirano a far cadere in contraddizione chi vi risponde e in molti casi indirizzano le risposte verso un’unica direzione che mira ad ottenere per il governo un vasto consenso attorno alla cancellazione del valore legale”. La consultazione promossa dal governo il 27 gennaio scorso è stata oggetto di numerose polemiche poiché non garantisce nemmeno la certezza dell’identità di chi vota. Qualcuno ha infatti usato il nome di Napoleone, o dello stesso presidente del Consiglio, riuscendo comunque a registrare il suo parere. Con queste modalità il questionario sembra avere raccolto ventimila interventi. Il contro-sondaggio presentato da docenti, ricercatori e studenti è stato redatto alla luce di una certezza: il titolo di studio è una condizione necessaria, non sufficiente, per accedere ad un concorso o agli esami per l’abilitazione professionale. E’ risaputo che il certificato di laurea non assicura la vincita di un concorso. Ad avviso dei suoi promotori, la proposta di abolizione del valore legale accrescerebbe il divario esistente tra gli atenei, differenziandoli tra università di serie A (teaching and research universities) e B (teaching universities), aumentando le disuguaglianze sociali e territoriali. La “liberalizzazione” del titolo di studio porterebbe anche a quella delle rette universitarie, tra le più alte d’Europa. Si prevede inoltre il ricorso massiccio al prestito d’onore, uno strumento ideato dalla Riforma Gelmini per permettere ad uno studente di indebitarsi, ottenendo in cambio un prestito da rimborsare ad una banca o un ente pubblico, dopo la laurea. Una prospettiva denunciata con fermezza nel contro-sondaggio poiché trasformerebbe definitivamente la natura e gli scopi dell’istruzione pubblica in Italia. Non manca, infine, un riferimento al decreto 437 approvato dal Consiglio dei ministri il 23 marzo scorso che ridefinisce le regole del turn-over tra i docenti che andranno in pensione e il reclutamento di nuovi ricercatori, un meccanismo che non permetterà di tenere aperti molti corsi di studio. “Noi siamo contrari all’abolizione del valore legale del titolo di studio - concludono i promotori dell’iniziativa - che non è un privilegio né un ostacolo alla valutazione delle reali capacità di una persona. Esso permette a tutti di partire dallo stesso punto di partenza senza avvantaggiare nessuno”.