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«Ora dobbiamo concentrare gli investimenti nella ricerca Solo così si rilancia il Paese»

Elena Cattaneo

18/02/2021
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Il Messaggero

Senatrice, con la fiducia a Mario Draghi il nuovo governo può finalmente partire. Il premier ha indicato una serie di priorità. Quale ritiene la più urgente?
«In un quadro economico-finanziario che sarà di grande indebitamento, sarebbe opportuno concentrare l'investimento pubblico su settori strategici in grado di restituire più valore a fronte di quella spesa: uno di questi, secondo molti studi, è proprio quello dell'insegnamento e della ricerca. Nel rilancio del Paese credo sia importante non solo non escludere la ricerca di base, come ha dichiarato il presidente Draghi, ma - l'ho specificato nel mio discorso in Aula - difenderla e promuoverla attivamente. Investire in istruzione, formazione e ricerca ha un forte impatto positivo, nel medio e lungo termine, non solo sull'economia, ma anche sul capitale sociale e cognitivo di un Paese, soprattutto per le nuove generazioni che il presidente Draghi ha scelto di mettere al centro del proprio discorso».
Quali ritiene debbano essere i presupposti per investire in ricerca?
«Ieri in Senato ho chiesto di riformare anche profondamente dove serve l'esistente per migliorarlo, senza però ricadere nella facile tentazione di creare contenitori e formule estemporanee in deroga alle regole ordinarie. Il Paese è esausto di corsie preferenziali e di eccellenze autoproclamate ma mai misurate con il metro del merito e della libera concorrenza. Ogni studioso deve essere libero di competere ad armi pari affinché l'idea, il progetto, il gruppo, l'ente o la rete di enti migliori possano vincere, in primo luogo nell'interesse dei cittadini contribuenti, per poter partecipare al rilancio di questo Paese». 
Come conciliare il rigore necessario sulla lotta al Covid, ricordato dal premier, con le esigenze della tenuta economica e sociale del Paese? 
«Con un approccio mutuato dal metodo scientifico, che abbia ben chiari gli obiettivi ma che, una volta iniziata a seguire una strada per raggiungerli, non abbia timore di correggere la rotta se quella intrapresa si rivela errata o inefficiente. Credo che il presidente Draghi sia ben consapevole che la credibilità e l'affidabilità delle istituzioni si misurano nella loro capacità di prendere decisioni condivise e trasparenti, avvalendosi delle migliori evidenze scientifiche disponibili».
L'Europa riveste un ruolo speciale nel programma di Draghi. L'Italia è destinata ad assumere una nuova centralità anche nell'Unione, a suo giudizio?
«Ho sempre considerato l'Ue un progetto in divenire, essenziale al nostro futuro. Il tema non è la centralità nell'Unione ma l'apporto che l'Italia può dare nel rilanciare il progetto europeista nella tradizione di Spinelli e Adenauer. Credo che le parole cristalline di Draghi non necessitino altro che di essere ripetute: Nell'appartenenza convinta al destino dell'Europa siamo ancora più italiani (...)Senza l'Italia non c'è l'Europa. Ma, fuori dall'Europa, c'è meno Italia». 
Il premier ha fatto appello con forza all'unità delle forze politiche, definendola già nel suo primo Cdm un dovere. Lei crede possibile che i partiti sapranno rinunciare alle loro bandiere in nome di un interesse superiore?
«Credo che la soluzione della crisi con il sostegno diffuso al governo Draghi non sollevi questo Parlamento dalla riflessione sulla incapacità di esprimere autonomamente, in piena emergenza, un governo. E credo che tutti gli attori politici siano oggi chiamati ad una responsabilizzazione profonda sulla scelta di comportamenti e regole che onorino la democrazia parlamentare. In altre parole, non è bene tutto quel che finisce bene. La rinuncia ad egoismi elettorali in vista di un compito di programmazione che risponde agli interessi della prossima generazione non è un auspicio, ma una legittima aspettativa di tutti i cittadini».
Il governo Draghi conta solo 8 ministre donna. Delusa, soprattutto dalle scelte della sinistra che non ne ha indicata nessuna?
«Il tema non è aritmetico, ma politico. Le donne devono occupare lo spazio pubblico, lo devono fare nei partiti e in ogni forma di associazionismo, anche facendo rete. Bisogna promuovere un nuovo welfare che superi alcuni schemi culturali, secondo cui sembra che debbano essere sempre e comunque le donne a sacrificarsi per far fronte alle necessità familiari e domestiche. Le quote rosa si possono considerare un mezzo, non un fine, uno strumento forse utile - ma temporaneo - per attenuare le disparità e avviare un cambiamento. Tuttavia nessuna rivoluzione sarà possibile senza la garanzia di pari condizioni di partenza per tutti, donne e uomini». 
Barbara Jerkov


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