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Nuova Sardegna-Non c'è niente di nuovo, ma in cambio molto d'antico

Non c'è niente di nuovo, ma in cambio molto d'antico VITTORIO EMILIANI C'è qualcosa ...

04/03/2004
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Nuova Sardegna

Non c'è niente di nuovo, ma in cambio molto d'antico
VITTORIO EMILIANI


C'è qualcosa di nuovo, anzi d'antico in questa "riforma" Moratti. La citazione da Pascoli (è "L'Aquilone", signora Letizia) appare polemicamente d'obbligo visto che il progetto pedagogico berlusconiano considera ferrivecchi la storia antica, la cultura umanistica e quindi la poesia, e invece ferri modernissimi le tre "i": internet, inglese, impresa. La citazione è pure calzante perché questa modernità un po' banalotta partorisce riproposizioni francamente "antiche". A cominciare da quella "economia domestica" che faceva parte dei programmi delle nostre madri o sorelle maggiori ai tempi delle Giovani Italiane e che una cultura non soltanto femminista, o femminile, aveva archiviato. Già in Italia sono poche, per ragioni socio-economiche, le donne che possono entrare nel mondo del lavoro e delle professioni. Si pensa di nuovo a loro come agli angeli del focolare? Tutto ciò mentre ci si vuol modernizzare, mettere al passo con l'Europa, ecc.
Sa francamente d'"antico" un altro cardine della "riforma" Moratti: la separazione a 15 anni di età, dopo la Terza Media in sostanza, fra quelli che decidono di andare ai Licei e quelli che invece scelgono (ma non è poi il reddito familiare a scegliere per loro?) il canale parallelo della "formazione" tecnico-professionale. Ora, che vi sia bisogno di una formazione meglio mirata e più concreta, non v'è dubbio, e tuttavia proprio una delle conquiste dell'ultimo quarantennio è stata quella di dare a tutti un'educazione, una cultura di base di spessore decisamente elevato, su cui innestare poi diverse e successive specializzazioni.
Il ministro ripete che fra i due canali vi sarà possibilità di passaggio, ma, a parte la precocità di una scelta tanto strategica, l'impostazione appare rigida e "vecchia". Ricorda tanto, spostata in avanti, quella di molti decenni fa fra educazione superiore e avviamento professionale. Meglio, molto meglio elevare, per tutti, l'obbligo a 15-16 anni. Vi è poi la questione, centrale per il primo ciclo, del "tempo pieno". Chi si è occupato di scuola negli anni '60 ricorda bene come esso venisse sperimentato per ciò che ha poi dimostrato d'essere: una vera riforma sociale e pedagogica all'interno di una scuola diventata faticosamente di massa. Indebolirlo, ridurlo a doposcuola, a ore di ristorazione e di ricreazione, significa cambiare modello di insegnamento, immiserire il livello generale. Cioè regredire. Lo conferma l'eliminazione dello studio della storia antica (si comincerà da Napoleone, neppure dalla Rivoluzione Francese o Americana). Nel Paese dove si ha, fisicamente, a che fare ogni momento con la grande storia - greco-romana, medioevale, rinascimentale (quando Venezia e Firenze erano Wall Street e il fiorino, il ducato, le monete internazionali), ecc., si arriverà sino al Liceo - chi ci arriverà - per saperne qualcosa. Si prepara una scuola di piccoli robot informatici (maschi però, le femmine a casa), che parlano l'Inglese, che riducono tutto all'Impresa, ma che non hanno strumenti culturali per capire da dove vengono, che cosa li circonda, quali siano le loro radici, la loro identità, ecc. Parlano tanto di creatività italiana, di made in Italy, ma da dove credono che venga questi "riformatori" da bignamino per ragiunàtt informatizzati? Forse dal computer?


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