«Noi travet stanchi e demotivati condannati solo a fare sacrifici»
Se ce ne fosse ancora bisogno, partiamo da un dato di fatto: lo statale di una volta, la macchietta di tanti film, lo sfaticato che per un caffè stava un’ora fuori dall’ufficio, beh, questo statale non c’è più
REPORTAGE
ROMA Se ce ne fosse ancora bisogno, partiamo da un dato di fatto: lo statale di una volta, la macchietta di tanti film, lo sfaticato che per un caffè stava un’ora fuori dall’ufficio, beh, questo statale non c’è più. Sfiancato dalla crisi, umiliato da un rinnovo contrattuale ogni volta negato, oberato da carichi da lavoro che neanche a una catena di montaggio, costretto a rifugiarsi in mini ferie sempre più modeste a un tiro di schioppo da casa, lo statale di oggi agguanta facebook, nel bel mezzo di un pomeriggio di domenica d’agosto, e accorato chiede alla sua virtuale platea: «Dove andremo a finire?». E la platea non lo illude: «Faremo un bruttissima fine...». Tanto per la cronaca, la domanda è di «Simonetta Tagliavini» e la risposta porta il nome di «Francesco Dilillo». L’account, neanche a dirlo, è «Dipendenti statali».
Già, una bruttissima fine. Quella che Giovanni Fusco, dal bed and breakfast che ha preso per una settimana in Puglia («di più non potevo») vorrebbe assolutamente scongiurare. Perché ha solo 32 anni, perché ha una figlia ancora piccola, perché in fondo spera «che qualcuno faccia qualcosa». Ha un posto da infermiere al Policlinico Umberto I di Roma, Giovanni Fusco, e una moglie infermiera come lui, abitano a Montesacro e vanno avanti con due stipendi intorno ai 1.400 euro a testa. «Stipendi bloccati dal 2010 -puntualizza lui- e le tasse, invece, sempre più alte. E ho letto che bloccano tutto per un altro anno ancora, tutta la pubblica amministrazione. Una situazione drammatica».
Come se ne può uscire, Giovanni? «Io comincerei dal tagliare le consulenze, dal bonificare la giungla dei servizi appaltati all’esterno. Sono soldi che potrebbero essere rimessi nell’amministrazione, che potrebbero finalmente dare un riscontro economico a carichi di lavoro sempre più pesanti. No, quando ho cominciato, sei anni fa, non era cosi. Le prospettive erano ben diverse, la crisi vera doveva ancora arrivare. Si varavano le finanziarie, si chiudevano i contratti. Oggi, invece, persino la convivenza tra colleghi si è fatta difficile».
Tra colleghi e non solo. Tra statali, ad esempio, e operai, come quelli che una mattina si e l’altra pure si ritrovano a protestare, anche duramente, sotto il palazzo del suo ministero, del ministero dove lavora Marcello De Vivo, 43 anni, napoletano, funzionario allo Sviluppo economico. «La conoscete tutti via Molise, no? E’ la strada dove arrivano lavoratori da tutte le fabbriche chiuse d’Italia. E lo chiamano pure Sviluppo economico».
«STAGIONE DECISIVA»
De Vivo vive a Roma ormai dal ’97 («una città magnifica, anche con i problemi del traffico, con tutta la sua disorganizzazione») e in questi giorni si sta godendo le ferie in famiglia : «Prima dai suoceri in Puglia e poi dai nonni in Campania. Un modo per risparmiare ma anche per ritrovarsi, non crede? E’ la solita Italia degli ammortizzatori sociali che ancora funzionano».
Ma da lì, mentre la sua bambina testardamente lo reclama, questo dirigente ministeriale lancia uno sguardo, preoccupato eccome, alla situazione generale: «Viviamo una stagione decisiva. Se si mantengono gli storici punti di privilegio non vedremo mai la luce fuori del tunnel. Se invece riusciremo a intaccarli, allora si potrà finalmente rimettere mano a tutta la macchina, a valorizzare le professionalità».
De Vivo incalza: «Dicono che gli statali sono gente poco propensa a cambiare, e invece non è vero. Saremmo ben contenti di aprire le porte a delle innovazioni. Invece le assunzioni sono bloccate, assistiamo a un invecchiamento pauroso che porta demotivazione, che non gratifica la carriere, che per forza di cose ricade sulla qualità dei servizi offerti al cittadino».
«BASTA CON GLI SPRECHI»
Guadagna millesettecento euro al mese («ma ovviamente non è la media») e abita a Montemario, e non si rassegna «alle ultime notizie, tutte negative». Perché De Vivo un pizzico di speranza la conserva: «Intravedo anche messaggi di disponibilità a volere metter mano a situazioni, oltre che di privilegio, anche di sprechi. E’ un segnale positivo, e io me lo tengo».
«ADESSO NEVICA»
Chi di segnali positivi invece non ne vede è Rita, una sindacalista che viene dal mondo della scuola. Rita per modo di dire perché prega di non pubblicare nome e cognome, ma l’amarezza è vera: «Questa storia di metter mano ai privilegi e agli sprechi sa quante volte l’ho già sentita? Sono cose dette e ridette, diciamo dal 2001 in poi, senza che sia cambiato, in questi 12 anni, assolutamente nulla». Rita affonda la lama: «C’è molta disaffezione, molto distacco da parte dei lavoratori statali, non solo nei confronti del Governo ma anche delle stesse organizzazioni sindacali. Oggi si twittano, partecipano ai blog, si scambiano idee su facebook, ma non si rivolgono al sindacato». Infatti.
E l’amarezza tracima: «Le vede le immagini in tv dopo i terremoti. Quando elogiano, magari, i Vigili del fuoco dimenticando puntualmente che si tratta di statali. Come se i pompieri fossero un’istituzione privata. E sa l’ultima battuta che ho letto su Internet dopo l’annuncio dello sciopero dato da Bonanni il giorno di San Lorenzo? Non cadono le stelle ma nevica ...».
Nino Cirillo