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Noi, Greta Thunberg, Alex Langer e il bisogno di conoscenza e verità per un “futuro amico” del Pianeta e dell’umanità

L’articolo di Francesco Sinopoli, Segretario generale della FLC CGIL, pubblicato sull’Huffington post.

12/03/2019
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L'Huffington Post

Anche noi della FlLC CGIL, la Federazione dei lavoratori della conoscenza, saremo in piazza il prossimo 15 marzo, insieme con decine di milioni di ragazze e ragazzi di tutte le scuole del mondo che manifesteranno contro le scellerate politiche economiche e industriali che hanno avvelenato il pianeta Terra, l'hanno portato sull'orlo dell'autodistruzione, hanno generato centinaia di milioni di nuovi poveri assoluti, da est a ovest e da nord a sud del mondo, e hanno scavato fossati ormai giganteschi tra le élite privilegiate e miliardi di uomini e donne che soffrono per mancanza di cibo, carestie, inaridimento dei terreni, assenza di acqua.

Le manifestazioni del 15 marzo sono state invocate da un'adolescente svedese, Greta Thunberg, che da mesi staziona dinanzi al parlamento di Stoccolma con un cartello che evoca i pericoli per la Terra del cambiamento climatico, dopo che la sua terra aveva vissuto l'estate in assoluto più calda degli ultimi 262 anni. Ma è l'interrogativo che Greta lancia al mondo intero, ai potenti, che ci obbliga a riflettere sulla sua battaglia, che ora non è più solitaria, ed è accompagnata da decine di milioni di suoi coetanei.

L'interrogativo di Greta: perché impegnarsi a studiare tanto a scuola se poi i politici non prestano attenzione ai fatti? Interrogativo durissimo, di fronte al quale abbiamo il dovere di cercare risposte, a partire da coloro che nella scuola vivono, insegnano, imparano, operano. Qui, nella giusta domanda di Greta, è in gioco il senso stesso dell'apprendimento, che si trasforma in un'angosciante sfida per il futuro. Una sfida che toccherà alle nuove generazioni combattere, ma che impegna le generazioni precedenti a occuparsene come mai è stato fatto prima.

Greta ci convince che il destino dell'istruzione nel suo stesso significato di conoscere, sapere, e quello di intere generazioni sono connessi con il destino del pianeta Terra, col suo ecosistema, e coi danni prodotti da un modello di sviluppo basato sul profitto capitalistico a tutti i costi e non più sostenibile. E dunque, ecco le domande, dure come pietre, che Greta ci consegna:

"porto sempre con me i libri, ma poi mi chiedo: cosa sto smarrendo? Cosa imparerò a scuola? I fatti non interessano più a nessuno, e se i politici non ascoltano gli scienziati, che studio a fare?".

Questa consapevolezza che Greta ha manifestato ha poi contagiato segmenti larghissimi della popolazione studentesca in tutto il mondo, e ciò è davvero un bene, perché essi chiamano in causa coloro che hanno la responsabilità di rispondere, coi fatti, non solo a parole (come dimostrano i fallimenti dei recenti summit sull'ambiente).

E poi, quel richiamo agli scienziati non ascoltati, alla scienza, che potrebbero e dovrebbero svolgere un ruolo di guida per uscire dai pericoli in cui ci troviamo, non è anch'esso figlio e testimone di un tempo che ha smarrito totalmente la bussola di senso dello stare al mondo? Letteralmente.

Parole semplici, quelle di Greta, ma che richiamano alla mente la più grande sfida filosofica del Novecento: quella di restituire senso e dignità alla scienza di tradizione europea, in parte smarriti per effetto del dominio planetario di certo capitalismo. Ed è su questo crinale che va dunque letta in controluce la provocazione di Greta Thunberg.

A partire dalla più grande e perniciosa delle contraddizioni del capitalismo: il diritto alla salute e alla sostenibilità ambientale che contrasta in molti casi con il diritto al lavoro.

L'abbiamo vista all'opera in tanti casi, in questi anni, con l'ex Ilva di Taranto, per esempio, o con alcune cosiddette grandi opere, monumenti a un modello di sviluppo che non funziona più. Ha dunque ragione Carlo Petrini quando, in un articolo su La Stampa, dal titolo "Quei giovani in piazza con Greta", rimprovera alla sinistra di fare "fatica a svincolarsi da un discorso sviluppista legato a un modello stantio di produttivismo, fatto di grandi opere e di grandi player industriali".

Ma la si vede all'opera anche con la grande crisi che ha colpito l'edilizia – 600mila posti di lavoro persi proprio per effetto di una sciagurata assenza di strategie nuove e originali, come denunciano Cgil, Cisl e Uil nel lancio della manifestazione nazionale del 15 marzo, stessa giornata della protesta studentesca sul clima, e non a caso.

E la si vede all'opera in questi giorni con la crisi che ha colpito l'agricoltura per effetto del cambiamento climatico. I climatologi hanno avvertito che la crisi che ha colpito l'olivicoltura in Italia avrà come conseguenza l'abbattimento fino al 57% della produzione di olio di oliva, con effetti devastanti sull'economia del Paese, e del Mezzogiorno in particolare. E tutto ciò accade, secondo gli scienziati, perché la temperatura media del Mediterraneo si è alzata di 1,4 gradi centigradi e le precipitazioni sono crollate del 2,5%.

Come afferma al Guardian Riccardo Valentini, direttore del Centro Euro Mediterraneo per il cambiamento climatico, "tre o quattro giorni di caldo a 40 gradi in estate o 10 giorni senza pioggia in primavera sono più importanti di quello che accade in media ogni anno".

Da Greta e dalle nuove generazioni giunge un grido d'allarme, sugli effetti di un modello di sviluppo che porterà il pianeta alla sua distruzione. Ed è lo stesso grido di allarme che già papa Francesco aveva lanciato con l'enciclica "Laudato sì", unendo appunto il destino della "madre Terra" alla creazione di miliardi di poveri "migranti ecologici", costretti a spostarsi da un continente all'altro per sopravvivere.

Non v'è altra via d'uscita da questo destino, non inesorabile: cominciamo fin da oggi a mobilitarci con passione e convinzione (magari inducendo anche la sinistra a ripensare e a cancellare certe derive e decisioni "sviluppiste", rilanciate anche in questi giorni), come sindacato innanzitutto, insieme con le giovani generazioni per immaginare, elaborare, costruire un "futuro amico" del pianeta e dell'umanità, con un forte impegno nelle scuole, nelle università e nei centri di ricerca.

Ecco perché quando si affrontano questi temi torna alla mente Alex Langer, la sua poetica e visionaria lucidità, la sua capacità di inquadrare il presente e il futuro, anche alla luce del processo storico.

A dicembre del 1994, 25 anni fa, pochi mesi prima che decidesse di togliersi la vita, Langer volle consegnare il suo testamento culturale ai giovani che lo ascoltavano nella basilica di Assisi. Si tratta di un testo che per densità analitica, visione, capacità di pensiero lungo, andrebbe letto in tutte le scuole del mondo.

Il testo ha per titolo "Quattro consigli per un futuro amico". In sintesi, Langer disse a quei giovani nel 1994, ma lo direbbe anche oggi, magari con più forza, che in cima alla lista dei consigli per un futuro amico c'è "la credibilità delle parole" perché "è difficile distinguere la notizia dalla pubblicità, la realtà dalla fandonia, che se ripetuta autorevolmente e televisivamente diventa realtà essa stessa" .

Il discorso di Langer terminò con queste parole, che qui riporto integralmente, per la bellezza inossidabile di quel pensatore:

"Dall'antichità ci viene il motto citius, più veloce, altius, più alto, fortius, più forte, più possente. Citius altius e fortius era un motto giocoso di per sé, era un motto appunto per le Olimpiadi che erano certo competitive, ma erano in qualche modo un gioco. Oggi queste tre parole potrebbero essere assunte bene come quinta essenza della nostra civiltà e della competizione della nostra civiltà: sforzatevi di essere più veloci, di arrivare più in alto e di essere più forti. Questo è un po' il messaggio cardine che oggi ci viene dato. Io vi propongo il contrario, io vi propongo il lentius, profundius e soavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini, più lenti invece che più veloci, più in profondità, invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più energia, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo".

Già, il fiato lungo dell'amicizia, con la Terra e con l'umanità: questo è il vero segreto del futuro amico.


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