Nessuno mi può giudicare
Agli insegnanti non piacciono le verifiche. Ma la valutazione del lavoro può migliorare la scuola
Articolo di Matteo Acmé tratto dal n. 9 di febbraio 2012 del mensile ITALIC che contiene uno speciale dedicato all'istruzione italiana.
Dal 2008 i test scritti dell’Invalsi (l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo) per l’esame di terza media danno una fotografia nazionale delle competenzeacquisite degli alunni e, di riflesso, del livello dell’insegnamento: consistono in una prova a quiz di matematica e nell’analisi di un testo in italiano.
A differenza di altri paesi europei, in Italia incontrano però una forte resistenza, guidata dai sindacati: “Prima i contratti”, dice a Italic Domenico Pantaleo, segretario nazionale FLC CGIL, “Per noi l’urgenza non è valutare gli insegnanti ma la firma del nuovo contratto nazionale di lavoro”. È una questione di priorità, per i circa 177mila insegnanti di scuola media del Paese: “Prima sediamoci a discutere di aumenti, sblocco delle assunzioni e scatti di anzianità — continua il sindacalista — poi decideremo i modi migliori per la valutazione”. I docenti di scuola media guadagnano meno di buona parte dei colleghi europei. E mentre nei paesi OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) gli stipendi reali sono aumentati in media del 7% tra il 2000 e il 2009, in Italia sono diminuiti, anche se di poco. Ma i problemi del sistema scolastico non si riducono a questo. Secondo il sondaggio internazionale Talis del 2009, con dati raccolti in ventitré paesi, gli insegnanti italiani sono i più vecchi — con più della metà che ha già superato i 50 anni e la percentuale più bassa di under 30 — e hanno un drammatico bisogno di aggiornamento. Che riguarda almeno il 60% del corpo docente, uno fra i valori più alti, simile a quello registrato in Lituania e superiore di un terzo a quello della Spagna. Davanti ai dati, Pantaleo concorda sulla necessità di una sterzata, ma avverte: “Per l’aggiornamento degli insegnanti servono soldi. A inizio 2012 i fondi del ministero dell’Istruzione per la formazione non superavano i 2500 euro. In totale”.
Le carenze della scuola si manifestano a livello di risultati: gli studenti italiani sono sotto la media dei paesi OCSE per capacità di lettura, in scienze e matematica. Come ha recentemente dichiarato anche il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, il nostro sistema scolastico dà buone competenze di base, e il successo dei nostri ricercatori all’estero lo dimostra. Secondo Roberto Ricci, responsabile del servizio di valutazione Invalsi, il problema è che gran parte degli alunni mostrano serie difficoltà nella soluzione di problemi pratici, nell’interpretazione di testi complessi e nell’analisi dei dati. In pratica, fanno fatica a ragionare. “Per questo c’è bisogno di un monitoraggio costante; — spiega Ricci a Italic — bisogna capire dove intervenire. Solo un test nazionale può aiutare a governare un fenomeno così complesso”. Dai risultati del test risulta un divario netto: le scuole al Nord hanno punteggi più alti rispetto a quelle del Centro e la differenza cresce ancora di più con quelle del Sud. “Ci sono eccezioni positive, come le Marche o l’Umbria — continua il responsabile Invalsi — ma abbiamo l’obbligo di garantire un livello d’istruzione soddisfacente in tutto il Paese. L’Europa va verso un’autonomia scolastica sempre maggiore, ma perché questa funzioni senza troppe differenze fra scuola e scuola c’è bisogno di una valutazione efficace”. Iniziative come i test Invalsi sono molto delicate. Intanto si scontrano con una certa ritrosia degli insegnanti ad aprire la loro classe a “estranei” intenzionati a valutare il lavoro svolto. Poi, come ammette il responsabile dei test, c’è l’effetto ansiogeno che una verifica nazionale provoca sui docenti: “A scuola non si produce un oggetto finito e quindi facilmente valutabile; gli insegnanti sono un fattoreimportantissimo nei risultati ottenuti dagli studenti, ma non l’unico”. E le dichiarazioni di politici e passati ministri, che intendevano dosare i finanziamenti alle scuole in base ai risultati dei quiz, certo non hanno aiutano a disperdere i timori. Da qui le critiche ai test in generale: “Non è possibile esaminare scuole e insegnanti per fare una lista dei buoni e una dei cattivi”, accusa Gennaro Di Meglio, coordinatore nazionale del sindacato autonomo Gilda degli insegnanti. “Nella scuola ogni valutazione deve essere formativa, tesa a migliorare la situazione di chi sta più in basso, non a premiare i più fortunati”. Al di là di qualche provocazione, i test Invalsi non sono mai stati un discrimine per i finanziamenti: “Non è questa la loro natura — risponde Ricci — e legare i fondi ai risultati sarebbe sicuramente problematico. Il nostro obiettivo è semplicemente rendere oggettiva e comparabile, anche a livello europeo, la valutazione della scuola italiana. E aiutare a comprendere dove è necessario lavorare di più”. Per convincere sindacati e professori è sufficiente far capire loro il senso e la natura delle valutazioni. Secondo Ricci è come per il colesterolo: “Non basta fare le analisi del sangue per guarire. Serve anche qualcuno che ci dica come fare. I test Invalsi sono le analisi, poi però serve il medico”. E per la cura ci vuole tempo. Non è soltanto una questione di contratti e sblocco delle assunzioni: questioni importanti ma probabilmente slegate dai problemi di fondo. Per migliorare la salute della scuola bisogna probabilmente intervenire più in profondità. A cominciare proprio dai test.