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Nembro riporta i suoi bimbi in classe «Ricominciamo tutti da qui»

La scuola nella zona martoriata dall’epidemia «Verrà il momento del ricordo, ora serve serenità»

15/09/2020
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Corriere della sera

dal nostro inviato Marco Imarisio

NEMBRO (Bergamo) Siamo tutti qui, e ci sono almeno 188 buone ragioni per esserci. L’ingresso dei bambini accompagnati dai loro genitori nelle due scuole elementari del paese è seguito a giusta distanza da uno stuolo di telecamere e di collegamenti e di aggiornamenti in diretta, tutto il primo giorno di scuola minuto per minuto.

«È perché sei importante» scherza una nonna con il nipote che chiede lumi su quel gruppo di adulti in disparte che filma uno di quegli avvenimenti al tempo stessi normali e straordinari, un rito di passaggio sia per i piccoli che per i grandi. Quella anziana donna è sola dal mese di marzo. Suo marito non c’è più, portato via ad appena 68 anni dal male che più di ogni altro luogo si è abbattuto su queste valli. Nembro è stato un simbolo della disgrazia, con il prezzo abnorme pagato al Coronavirus, 188 morti su undicimila abitanti, sedici in un solo giorno, le campane che a un certo punto avevano smesso di suonare, perché ogni rintocco era un lutto, e suonavano a ogni ora.

Oggi non ci sono parole, e neppure gesti che ricordano l’epidemia e il terrore di marzo e aprile. «Verrà senz’altro il momento» spiega Chiara Adobati, coordinatrice della scuola media, un edificio in mattoni rossi che risale al 1970, ma ripensato durante l’estate, con l’ala nuova della scuola che ha cambiato destinazione d’uso, convertendo i laboratori in aule più grandi e spaziose. «Ma per ricominciare, dopo tutto quel che è successo, i ragazzi hanno bisogno in primo luogo di calma, che non significa affatto rimozione. Verrà anche il momento del ricordo, della comprensione del dramma vissuto dalla nostra comunità. Ogni cosa a suo tempo».

La serenità è difficile anche da raccontare. Alle 10.30 i bambini delle scuola elementare Nembro Viana, fanno ricreazione nel cortile della scuola, e le loro voci sono rumore di fondo gradevole, che strappa un sorriso ai passanti. Ci voleva, dopo tutto questo silenzio. Un gruppo gioca a Ce l’hai, quelli della I B inseguono una libellula. Le telecamere sono andate via, ai tavolini della pasticceria di fronte ci sono solo mamme in attesa.

«Mantenete le distanze» si raccomanda il professore che a mezzogiorno scorta tre classi della media verso l’uscita principale dell’Istituto comprensivo. Quando sono entrati, molti di loro erano ricurvi sotto al peso della zaino. Claudio Cancelli, il sindaco, ex insegnante, si è fatto una risata. Nessuno immaginava che gli alunni si presentassero con le «prove» del loro lavoro durante i mesi del lockdown. Fa piacere, il sorriso sul volto di un uomo che ha affrontato con lucidità una esperienza tremenda, cercando di dare coraggio alla sua comunità con messaggi vocali che raggiungevano ogni giorno quasi tremila persone, una forma di resistenza via WhatsApp. «Nelle ultime settimane mi è dispiaciuto sentire molti politici che quasi scommettevano per tornaconto personale sulla possibilità del disastro di un bene comune come la scuola. Purtroppo per loro l’inizio è promettente, tutti ci siamo fatti trovare pronti».

Se davvero andrà quasi tutto bene, o meglio di quanto si temeva, il merito sarà anche di militi ignoti come il dirigente Giorgio Schena e i suoi insegnanti, che nei mesi vuoti hanno fatto pure gli apprendisti operai, per consentire un buon inizio ai 1.045 alunni dell’Istituto comprensivo Enea Talpino di Nembro, suddivisi in una scuola dell’infanzia, cinque primarie e due secondarie di primo grado. Aria bonaria, baffi e capelli bianchi, Schena è un preside di lungo corso. Nell’estate del 2021 andrà in pensione. Non ama la retorica, le frasi fatte e la burocrazia. Suona il telefono. Un bambino della materna ha la febbre. Il pediatra ha imposto il tampone, il padre vuole sapere come regolarsi. All’estremità della sua scrivania c’è una collinetta alta quasi trenta centimetri. Sono le circolari ricevute da enti di ogni ordine e grado, l’Ats di Bergamo, la Regione, i ministeri, ognuno a spiegargli il mestiere che fa da oltre trent’anni. «Una ipertrofia regolamentatrice, una bulimia di regole che insegue un miraggio, il controllo assoluto della realtà». Anche lui ha avuto un lutto in famiglia, chi non ne ha avuti da queste parti. Eppure, nell’aria non si sente. Non ci sono tracce della strage avvenuta nella Bergamasca, non ci sono neppure sguardi tristi. Il «capo» dell’Enea Talpino ha una tesi per quello che è accaduto a Nembro dopo la fine della lunga notte. «Quando un evento ti colpisce singolarmente, è una tragedia. Ma se è un evento collettivo, lo metabolizzi, diventa elaborazione di un dolore comune».

Mentre altre quattro classi dall’atrio si avviano all’uscita, c’è una ragazza che per un istante sembra camminare per conto suo, e non in una fila da tre come tutti gli altri. Suo papà è stato una delle vittime più giovani del coronavirus. Le compagne di classe la circondano, le saltano intorno. Lei ride.

La scuola serve anche a non sentirsi soli. Intanto, le campane della chiesa parrocchiale di San Martino cominciano a suonare. È un normale giorno di scuola, è un giorno di festa.


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