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Nelle scuole da incubo ci si aggrappa al Web. E il ministro si indigna

La Azzolina si scaglia contro la didattica a distanza. Ma presidi e sindacati avvertono: «Zero risposte, qui si vive alla giornata»

14/10/2020
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 La verità
Patrizia Floder Reitter

Il ministro dell'Istruzione dice no alla didattica a distanza. Lo afferma nel consueto stile da maestrina dalla penna rossa: «I ragazzi sono felici di essere tornati a scuola, E ci devono rimanere», ha dichiarato ieri, contestando l'idea di alcuni governatori di far seguire agli studenti delle superiori le lezioni da remoto, per diminuire l'affollamento dei mezzi pubblici. La presa di posizione di Lucia Azzolina sarebbe giusta e meritevole di plauso, se non fosse quantomeno bizzarro che la responsabile del Miur si indigni perché si cercano soluzioni alternative, visto che la scuola in presenza non sta funzionando dopo nove mesi di ritardi nel riorganizzare gli istituti in emergenza Covid. A metà ottobre mancano ancora insegnanti e regna il silenzio assoluto sulla consegna dei banchi che dovrebbero essere nelle aule di tutta Italia entro fine mese.

«Dati non ce ne sono, abbiamo chiesto due settimane fa al ministro Azzolina di convocare con urgenza il Tavolo nazionale permanente, ma ancora siamo in attesa», dichiara Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi (Anp). Previsto nel protocollo d'intesa dello scorso 6 agosto per fare

il punto sulle questioni relative alla sicurezza delle attività didattiche, l'incontro periodico deve affrontare questioni quali graduatorie e tempistica di conferimento degli incarichi di supplenza, così pure lo stato di consegna dei banchi monoposto e delle sedute innovative. «Sappiamo che al Sud ci sono problemi di aule piccole, quindi gli studenti si trovano costretti a indossare sempre la mascherina in classe, o devono alternare la didattica in presenza con quella a distanza», aggiunge il presidente dell' Anp. «Anche sui banchi, siamo a conoscenza di ritardi ma non si riesce a sapere quanti dei 2,4 milioni ordinati siano già nelle scuole. Due mesi fa abbiamo chiesto al commissario straordinario per l'emergenza, Domenico Arcuri, di farci avere la tabella di marcia delle consegne ma nulla da fare. Non c'è trasparenza, nemmeno fossero dati personali». L'Azzolina tenta di far credere che nelle classi italiane tutto vada bene perché «i numeri e le analisi dell'Istituto superiore di sanità ci confermano che i contagi non avvengono dentro le scuole», ma a distanza di un mese dalla ripresa delle lezioni la precarietà del corpo docente, delle misure sanitarie e del controllo tamponi, per non parlare del rischio quarantena per il primo raffreddore sospetto, stanno preoccupando enormemente le famiglie.

«Viviamo alla giornata, seguendo le emergenze senza una programmazione e solo con divieti», esclama Pino Turi, segretario generale Uil scuola. «La didattica a distanza viene fatta già in molte scuole e il ministro nemmeno lo sa. Però ha indetto un concorso straordinario che sposterà 64.000 insegnanti, quando ancora non abbiamo gli organici completi». Il sindacalista punta il dito non solo contro l'Azzolina: «È l'intero governo che si sta muovendo male, il problema dei trasporti non può saltare fuori solo adesso... Il presidente dell'Anp, che afferma di essere stato «tra i pochi favorevoli alla Dad, perché non c'erano altre soluzioni, ma certo non penso che possa sostituire la scuola. Anche perché si crea un problema di iniquità sociale», non condivide la polemica sorta sull'affollamento dei bus. «Non è pensabile sostituire la didattica in presenza con la didattica digitale integrata solo perché ci sono difficoltà con i trasporti pubblici», si indigna. «C'erano nove mesi di tempo per organizzarsi meglio e acquistare altri autobus se necessario. Questo equivarrebbe a negare il diritto allo studio e alla socialità soprattutto a quei ragazzi con disabilità, che hanno bisogno di integrarsi, o anche semplicemente il diritto alle attività laboratoriali previste dal ciclo di studi. Come fa uno studente a diventare tecnico elettronico o chef, se non fa pratica sotto la guida di un professore?».

Ieri sono stati presentati i risultati dell'inchiesta condotta a livello nazionale sulla didattica a distanza durante il lockdown dal titolo La scuola «restata a casa», a cura della Flc Cgil in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, l'università di Roma Sapienza e l'università di Teramo. Indagine realizzata  non per analizzare pratiche di telelavoro adottate, ma per valutare la qualità dell'esperienza didattica a distanza conseguente alla chiusura delle scuole per il Covid-19. Il 44,5% dei docenti che hanno risposto al questionario online afferma di non aver ricevuto una formazione specifica, con delle carenze maggiori che emergono tra i professori della scuola primaria.

Più del 60% di quanti hanno avuto difficoltà con le attrezzature a disposizione, hanno segnalato anche problemi con la gestione degli spazi dove lavoravano da casa. Ma il dato più preoccupante riguarda gli utenti della Dad, perché «meno di un terzo degli insegnanti intervistati, il 30,8%, ha raggiunto con la didattica a distanza tutti gli studenti della sua classe». Più problemi risultano nel Mezzogiorno, dove le percentuali si abbassano al 24,2% nel Sud e al 23,7% nelle Isole. Secondo gli intervistati, più della metà degli studenti (il 54,6%) hanno avuto difficoltà a seguire la didattica a distanza. L'inadeguatezza della piattaforma che la scuola ha a disposizione per la Dad è tra le principali cause per un terzo dei docenti.

Turi si dichiara contrario alla didattica da remoto «molto più del ministro dell'Istruzione, però bisogna mettere la scuola in condizione di proseguire in sicurezza. Non stiamo più verificando le misure adottate, come mascherine, gel, banchi che non arrivano. Il tutto complicato dalla mancanza di un presidio sanitario all'interno della scuola, che avrebbe semplificato le procedure», Maddalena Gissi, segretario generale della Cisl scuola, segnala che «purtroppo il ricorso alla Dad si sta già diffondendo molto» e chiede che «il ministro assicuri al più presto alle scuole il personale e le dotazioni che mancano, altrimenti la didattica in presenza è compromessa alla radice».


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