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Nella scuola contano le competenze le grandi aziende non guardano i voti»

dice il rettore della Luiss, il professor Massimo Egidi

28/02/2015
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Il Messaggero

ROMA La riforma della scuola è in dirittura d’arrivo e il mondo accademico è in fibrillazione. I liceali sono la “materia prima” delle nostre Università. La Luiss di Roma ha vinto per il secondo anno consecutivo a Toronto, col “Blue team” coordinato dall’economista Emilio Barone, la Rotman International Trading Competition, la più importante gara di simulazione finanziaria online internazionale. Eppure, i nostri Istituti sono lontani dai vertici delle classifiche, dalle liste del ranking planetario che attraggono gli studenti. «Per entrarci – dice il rettore della Luiss, il professor Massimo Egidi – bisogna sottoporsi a uno screening, accettare un’agenzia di accreditamento che viene a farti la radiografia e alla fine ti inserisce in una classifica. Come il medico che viene a spiegarti gli elementi della malattia per consentirti di correggerli».

E perché questo non avviene in Italia?

«Se diventa discriminante per la posizione in classifica il numero di premi Nobel usciti da una Università, ci vorrà un secolo perché l’Europa eguagli l’America. Ma non può esser questo il criterio. I cinesi ci sono riusciti, ma hanno impiegato una quantità impressionante di risorse».

Lei però ha deciso di investire nella competizione Rotman…
«L’obiettivo era arrivare primi e ci siamo riusciti. In generale, basterebbe migliorare. In Italia un po’ di lavoro è stato già fatto. Bisogna collegare in un futuro le possibilità di carriera e di remunerazione agli esiti di qualità. E nella valutazione degli studenti andare oltre il voto e considerare gli skill, le competenze, all’ingresso e alla fine della scuola. Purtroppo in alcune realtà c’è una supervalutazione dei voti e nei test d’ingresso universitari non si riesce a ponderare, capire chi è bravo e chi è stato sopravvalutato».

Alla Luiss come fate?

«Noi abbiamo adottato un programma sviluppato da imprese americane che invece di guardare i voti guarda competenze come il problem solving, la capacità di risolvere un problema da soli. Queste sono le competenze richieste poi dalle grandi aziende».

Ma nella scuola manca pure la valutazione degli insegnanti…

«Quello che sto suggerendo è appunto un modo indiretto di valutare anche le capacità degli insegnanti. Alla Luiss abbiamo gradualmente modificato i test all’ingresso. Non abbiamo più test culturali generici. Io non ti chiedo l’Infinito di Leopardi. Ti chiedo invecequalunque libro tu abbia letto, di risolvere un dato problema».

A fuggire dall’Italia non sono più solo i laureati, ma i liceali. Come impedirlo?

«È inevitabile e non è un male, i giovani ne hanno diritto. Il mercato delle competenze universitarie è mondiale. Il problema è mantenere agganci. Avere accordi con altre Università, appartenere a una rete internazionale che permetta allo studente o laureato di avere una convenienza a rientrare. Perciò è necessario entrare nelle classifiche internazionali».

L’inglese è fondamentale?

«È un elemento chiave. Noi alla Luiss abbiamo metà corsi in italiano e metà in inglese. A scuola non basta insegnare la grammatica. Gran parte delle competenze di una persona sono legate non alla trasmissione verbale ma all’esperienza, al learning by doing, imparare facendo, che poi crea lo spirito di squadra. A Berlino, recentemente, ho parlato con un tassista tedesco che parlava un formidabile inglese».

Ci sono Università in Italia che nell’arruolare professori danno più punti a chi ha studiato in Italia invece che all’estero…Noi ridiamo di queste cose. In archeologia, forse, ha un senso! Però le 15 migliori università italiane fanno già parte di una rete internazionale. Non dobbiamo pensare che producano sempre risultati disastrosi. Il problema è la disomogeneità: lei trova dipartimenti di eccellenza accanto ad altri che non valgono nulla. Se uno vale uno, siamo finiti».

È anche un problema di nepotismo?

«Nelle aree scientifiche non più, ci sono standard internazionali. C’è un solo modo per vincere il nepotismo: obbligare alla qualità».

È bene legare sempre di più la scuola al lavoro?

«In Italia c’è il secondo manifatturiero d’Europa, ma è in trasformazione. Occorre formare aggiornando. Con la digitalizzazione, non ci si può più limitare a insegnare il mestiere».
Marco Ventura
 


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