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Montessori La prof senza cattedra

Era una giovane allieva, scoprì quanto fosse vessatoria l’educazione E dedicò la sua vita a cambiarla

04/07/2020
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la Repubblica

di 

Viola Ardone

C’è una bambina che non riesce a star ferma dietro il suo banco. È al primo anno delle elementari e ha già imparato a odiare la scuola: la maestra parla per ore e i compagni, immobili sulle sedioline, ripetono la lezione in coro. Quando l’insegnante le chiede il risultato di un’operazione di aritmetica, la bambina preferisce inventarlo, mettendo insieme le prime cifre che le vengono in mente. È il 1876, la scuola elementare è quella di via San Nicola da Tolentino a Roma e la bambina si chiama Maria. L’unica cosa che ha imparato dalla noia infinita di quelle lezioni è: coltivare la ribellione. Ha iniziato a sei anni e non smetterà più, Maria Montessori, e la sua vita controcorrente è stata una unica, lunga e coerente risposta a uno stile di insegnamento che le sembrava mortificare il bambino, mancandogli di rispetto.

Il bambino è il maestro — il titolo della accuratissima biografia di Cristina De Stefano — compone in un solo enunciato fatto di soggetto e predicato i due poli della dinamica insegnamento- apprendimento, rivelandoci che essi, in realtà, coincidono. Questa è la rivoluzione pedagogica operata dalla Montessori: il bambino è capace di apprendere da sé stesso, attraverso la sperimentazione personale. Non è lui a dover " seguire" la lezione dell’insegnante, ma quest’ultimo a dover tener dietro all’alunno: collocarsi dal suo punto di vista per osservarne i movimenti, mettersi in ascolto della sua voce e incentivarne la curiosità.

Maria Montessori — di cui il prossimo agosto ricorre l’anniversario dei 150 anni dalla nascita — è stata ed è una delle italiane più celebri all’estero, il suo volto è stato impresso sulle banconote da mille lire, il suo metodo ha modificato in modo diretto o indiretto la concezione dell’insegnamento in tutto il mondo. Confrontarsi con un’immagine devozionale, avvicinarsi al mito senza preconcetti ed esenti da timore reverenziale è impresa scivolosa. Cristina De Stefano ci riesce, conducendoci con abilità in una narrazione in cui la intensa opera di documentazione viene perfettamente assorbita da un racconto che ci fa attraversare l’Italia del secolo scorso, in cui una studentessa molto determinata si pone l’obiettivo ambizioso di diventare medico, nonostante l’iscrizione a quella facoltà sia vincolata al possesso di un diploma di maturità classica. Maria, che aveva potuto frequentare solo la scuola tecnica, si iscrive quindi a Scienze con l’intento di passare successivamente a Medicina dopo aver superato gli esami dei primi due anni e aver imparato le lingue antiche assistendo in seminario alle lezioni di un frate, nascosta dietro un assito di legno per non turbare, con la sua presenza, le menti dei giovani studiosi. Guidata da un fermo volere e sostenuta dalla sua famiglia — in particolare dalla madre Renilde — si laurea in medicina, unica donna o quasi in un mondo di uomini, inizia la sua militanza femminista, il volontariato e l’impegno nel sociale. Ma l’immagine di lei bambina, prigioniera nel banco e costretta al silenzio non la abbandona mai, anzi è proprio da quella postazione spiacevolissima che continua a guardare il mondo e a cercare di cambiarlo. Così, quando si trova a contatto con i piccoli ospiti dell’istituto ortofrenico, in cui venivano segregati i bambini con problemi psichici e comportamentali, sistema quel suo banco in mezzo a loro, gli ultimi degli ultimi. E proprio lì comprende che « gli oppressi della società sono pure gli oppressi della scuola » .

Dopo aver studiato Itard, il medico divenuto famoso per aver tentato di educare il " ragazzo selvaggio" dell’Aveyron, e Séguin, che ne fu assistente e discepolo, Montessori ha la sua visione: un metodo basato sulla centralità delle cose, che permetta al bambino di lavorare autonomamente e di crearsi da sé il proprio sapere; un metodo da sperimentare a prescindere dalla condizione di partenza del bambino, dalla presenza di disturbi specifici di apprendimento, dal ceto sociale ed economico. A Maria, sempre memore del suo ultimo banco, non piacevano le categorie ma i singoli, ed era convinta che l’unico vero obiettivo della scuola fosse interessare gli alunni e renderli golosi di conoscenza. « Quando avete risolto il problema di controllare l’attenzione dei bambini, avete risolto il problema dell’educazione » . Una frase che sembra sfilata dal dibattito sulla scuola dei nostri giorni, in cui il deficit di attenzione è una sindrome cronicizzata che affligge tutti, giovani e meno giovani. Non è questo l’unico elemento di modernità del pensiero montessoriano: il bambino, secondo la studiosa, deve essere posto al centro non solo del processo educativo, ma anche della società. Un paese che non ha a cuore l’istruzione dei suoi giovani, ci avverte, è un paese senza futuro. E, per realizzare questa visione, mette sotto ipoteca tutta la sua vita: rinuncia al matrimonio — ma non al figlio dell’amore — , nasconde per anni la sua maternità, difende l’unicità del suo metodo da tentativi di speculazione economica e di manipolazione politica. Con l’avvento del fascismo, cerca e ottiene l’appoggio di Mussolini, salvo poi rompere bruscamente i rapporti appena, negli anni trenta, comprende lucidamente che accettare l’egida fascista significa rinunciare alla propria libertà di pensiero. Il regime vuole bambini indottrinati e obbedienti per farne adulti proni all’autorità. Maria Montessori sostiene invece che il fine dell’educazione consiste nell’autoeducazione e che l’obiettivo dell’insegnante sia quello di rendersi " inutile", perché ha reso il discente capace di apprendere da solo.

E fu proprio uno dei suoi bambini a spiegarglielo nei primi anni di lavoro in una scuola di San Lorenzo. « Chi mi ha insegnato? » , le domandò il piccolo, meravigliato. « Nessuno mi ha insegnato. Ho imparato » .


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