Messaggero: Stop agli scatti di stipendio se il prof non fa ricerca
Rivoluzione nel decreto legge alla Camera: «Senza pubblicazioni sarà dimezzato l’incremento in busta paga»
di ANNA MARIA SERSALE
ROMA Da quest’anno nasce «l’anagrafe nominativa dei professori ordinari, associati e ricercatori contenente l’elenco delle pubblicazioni scientifiche prodotte». Anagrafe che sarà «aggiornata annualmente». Il censimento delle pubblicazioni - che non ha precedenti - viene fatto allo scopo di introdurre un criterio rigorosamente meritocratico che avrà effetti dirompenti. Verranno allo scoperto i tanti baroni che vivono sugli allori e che da anni non pubblicano un libro perché hanno smesso di fare ricerca. Chi non produce avrà un danno economico e sarà tagliato fuori dalle commissioni dei concorsi. In busta paga gli scatti di anzianità non saranno più automatici, si legheranno alla produzione scientifica. Ma vediamo nel dettaglio che cosa dice la legge che sarà votata alla Camera giovedì prossimo, articolo 3, (comma bis, ter e quater): «Gli scatti biennali, destinati a maturare dal primo gennaio 2011, sono disposti previo accertamento da parte dell’autorità accademica della effettuazione nel biennio precedente di pubblicazioni scientifiche». E ancora: «La mancata effettuazione di pubblicazioni nel biennio comporta la diminuzione della metà dello scatto biennale». Inoltre, chi non avrà all’attivo delle pubblicazioni nel «triennio precedente» non potrà neppure partecipare «alle commissioni di valutazione comparativa per il reclutamento di professori di prima e seconda fascia e di ricercatori». Come dire che chi non fa ricerca e non produce lavori scientificamente validi non solo non merita di progredire economicamente ma non merita neppure di giudicare i candidati ai concorsi. Tutte norme, queste, introdotte con degli emendamenti in Senato da Giuseppe Valditara, Pdl. «Finora lo stipendio si è incrementato con il solo passare del tempo - sottolinea Valditara - a prescindere dall’attività didattica e di ricerca. D’ora in poi non sarà più così. Sarà resa pubblica, su Internet, anche l’attività di ricerca degli atenei. Il rettore, annualmente, quando presenterà il conto consuntivo al consiglio di amministrazione e al senato accademico, dovrà consegnare un’apposita relazione sull’attività svolta. Così anche gli studenti, nella scelta dell’ateneo, avranno più elementi». Dunque, queste sono ore decisive per il decreto sull’università. «Aspettiamo il voto del Parlamento, ma di certo rappresenta un passo importante. Si tratta di un provvedimento utile e necessario», sostiene il ministro Mariastella Gelmini.
In arrivo nuove norme sui concorsi, più soldi per il diritto allo studio, riduzione del blocco del turn-over, chiamata diretta per “chiara fama” per favorire il rientro dei cervelli, più soldi agli atenei virtuosi, divieto di bandire nuovi posti a chi ha i conti in rosso. Il testo sarà votato domani alla Camera con l’utilizzo della fiducia. «Ma il continuo ricorso alla fiducia è un atto grave», osserva Maria Pia Garavaglia, del Pd. Licenziato dal Senato a fine novembre, il decreto passerà senza ulteriori modifiche giovedì: lo hanno concordato i partiti di maggioranza (altrimenti rischia di decadere). L’università italiana vive una fase molto critica. E i rettori aspettano di capire che cosa accadrà: «Spero che la legge non sia un punto di arrivo, ma preluda a interventi più organici - avverte Enrico Decleva, presidente della Conferenza dei rettori - Però lo spirito è questo, dunque sono fiducioso. Sui concorsi, comunque, questa è solo una soluzione tampone. Per il futuro si pensa alle abilitazioni scientifiche ma la selezione dovrà avvenire su regole che diano effettive garanzie». Intanto sui 1.800 concorsi già banditi l’Andu, l’Associazione nazionale dei docenti universitari, prevede una pioggia di ricorsi: «Qualsiasi concorso pubblicato sulla Gazzetta deve essere svolto in base alle modalità in vigore al momento della pubblicazione. Non sarà così per i prossimi». E allora? Il rettore di Tor Vergata Renato Lauro, per esempio, è abbastanza ottimista: «L’invito a bandire di nuovo gli stessi concorsi, rifacendo le domande, potrebbe appianare il problema». L’Andu insiste: ricorsi anche in questo caso perché i vecchi concorrenti si troverebbero a competere anche con nuovi aspiranti, per l’ultima volta meglio lasciare tutto come era prima.