Messaggero: Ricercatori a tempo e “orario” per i prof
Per i docenti un minimo di 1500 ore annue. Codice etico contro “parentopoli
di ANNA MARIA SERSALE
ROMA - Per avere certe cattedre e varcare certe soglie occorre essere figlio di, amico di... o sponsorizzato da uno dei potenti di turno. Concorsi truccati, cordate di parentele, lobby bianche, rosse e nere, intrecci politici nella selezione dei docenti, favori e abusi. Sull’università disastrata sta per arrivare la “cura” Gelmini. La riforma degli atenei è pronta. In quindici articoli, contenuti in venticinque cartelle, il ministro indica quali saranno gli interventi per riqualificare l’intero sistema. Tanto è enorme il lavoro da fare che per districare la materia seguiranno singoli decreti. Approvata in una seduta di pre-Consiglio, ieri la riforma attendeva il varo di Palazzo Chigi ma il mancato rientro di Silvio Berlusconi dalla Russia ha fatto slittare il «sì». I tempi, comunque, non saranno brevi. Si prevede un tormentato iter tra Camera e Senato, anche perché le lobby universitarie, che in Parlamento hanno molti rappresentanti, insofferenti ai controlli e alla trasparenza delle procedure, potrebbero mettere non pochi bastoni tra le ruote. Contro la riforma, comunque, sono già schierati gli studenti, che annunciano la ripresa delle ostilità.
Pronti alla protesta anche i ricercatori, l’articolo 12 per loro è una corda al collo. I loro contratti saranno “a tempo”. «Rischiamo il precariato a vita», dicono. «Per svolgere attività di ricerca, di didattica, e di servizio agli studenti - è scritto nel testo della Gelmini - le università possono stipulare contratti di lavoro a tempo pieno e determinato». E ancora: «I contratti saranno di durata triennale e possono essere rinnovati una sola volta per un ulteriore triennio», sempre che la valutazione dell’attività didattica sia positiva. Insomma, per i ricercatori un ritorno al progetto Moratti.
«Non va vista negativamente questa norma, al contrario la ”tenure track” - sostiene Andrea Lenzi, presidente del Cun, il Consiglio universitario nazionale - è un percorso che porta dritto alla abilitazione da professore associato, non in modo automatico, certo, altrimenti sarebbe una sanatoria. Insomma, il ruolo del ricercatore è per sua natura provvisorio, nessuno fa ricerca ”a vita”, nessuno quindi dovrà andarci in pensione, come accade nei Paesi di cultura britannica e in molti altri». Anche Enrico Decleva, in qualità di rettore, dice di «apprezzare» la soluzione proposta dal ministro Gelmini.
La stretta prodotta dalla riforma non risparmierà i docenti. Dovranno lavorare almeno 1.500 ore l’anno, di cui 350 dedicate alla didattica e all’assistenza degli studenti. Una cosa, questa, tentata in passato da altri ministri e puntualmente naufragata. I docenti sono sempre sfuggiti a budge e tornelli («il nostro lavoro non si misura a ”ore”», dicono). Il ministro non precisa quali saranno le «forme» di controllo, i decreti successivi stabiliranno i criteri. Le verifiche riguarderanno anche «l’attività scientifica».
Gli altri punti centrali? Lotta al nepotismo e un codice etico che ogni ateneo dovrà adottare contro la “parentopoli” evitando così i «conflitti di interesse»; poteri separati tra il Cda e il Senato accademico; non più di due mandati ai rettori (4+4 anni o un mandato unico da 6); più potere ai Dipartimenti; meritocrazia, anche con la costituzione di un fondo speciale per promuovere l’eccellenza; competitività tra atenei, che potranno foderarsi o fondersi; commissariamento e piani di rientro per le università che non hanno i conti a posto; nuovi sistemi di reclutamento e la valutazione di ateneo affidata a una commissione i cui «componenti siano in prevalenza esterni». In ogni caso non c’è da farsi illusioni. Introdurre la meritocrazia nell’università italiana è come «tirare un rigore a porta vuota», ha scritto di recente Roberto Perotti della Bocconi (Phd al Mit di Boston, e autore di libri, tra cui ”L’università truccata”). Per questa ragione molti sono convinti che non basteranno le venticinque cartelle della Gelmini per risollevare i livelli dei nostri atenei (anche nell’ultima classifica del Times non ce n’era nemmeno uno tra i primi cento). A questo si aggiunge il tema scottante dei finanziamenti: «Il progetto del ministro ha punti positivi ma senza soldi rischia di naufragare», sostiene Enrico Decleva, ”magnifico” della Statale di Milano e presidente della Conferenza nazionale dei rettori.