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Messaggero: Più merito, meno facoltà e sedi: così Roma anticipa la riforma

Primi tagli alla Sapienza, norme anti-parentopoli a Tor Vergata

04/11/2009
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - Alla Sapienza sono pronti a modificare lo Statuto. Non aspettano i tempi parlamentari e c’è la voglia di bruciare le tappe. «Lavoriamo per anticipare la riforma - afferma il rettore Luigi Frati - Da questo mese riduco le Facoltà da 23 a 12 e ridisegno la mappa dei Dipartimenti, troppo frammentati, che saranno accorpati e non dovranno avere meno di 50/60 docenti, un numero maggiore dei 35 previsti dalla Gelmini. Un’operazione che segue il taglio dei corsi di laurea, ridimensionati del 18 per cento. Anche sulla riduzione delle sedi ci stiamo muovendo: disattivo il polo di Civitavecchia con i corsi di Ingegneria e Economia. A Bracciano ho chiuso Architettura. Resta Pomezia, con il corso di laurea in Farmacia, legata al polo industriale. Però non basta ridurre le spese. Occorrono fondi. A dicembre si chiudono i bilanci, ma navighiamo nel buio: siamo in rosso, se strapperò il pareggio sarà un miracolo. Se Tremonti non allargherà i cordoni nel 2010 sarà un disastro».

Il Magnifico della Sapienza nei giorni scorsi aveva minacciato il ricorso al commissariamento («Non posso far morire l’università», aveva detto). «Sui soldi niente sconti, il proposito resta - sostiene Frati - ma forse con l’approvazione del ddl in Consiglio dei ministri c’è qualche speranza: visto che Tremonti ha accettato una riforma organica di questa portata, forse alle università arriveranno i 450 milioni di euro promessi. Diversamente la riforma rischia di saltare ancora prima di sbarcare in Parlamento. L’Italia è indietro. L’università ha un ruolo strategico ma quello che lo Stato stanzia per l’intero sistema universitario è la metà di quello che gli Usa danno ad Harvard. Anche nel confronto con l’Europa il divario è imbarazzante».

Non è solo Frati a pensarla così. Anche gli altri due rettori delle università romane, Renato Lauro di Tor Vergata, e Guido Fabiani di Roma Tre, ritengono che questo sia l’ultimo treno: «Vogliamo curare i mali del sistema, ma niente leggi a costo zero». «Altrimenti saremmo costretti a tagliare drasticamente i servizi, a cominciare dalla bolletta elettrica - sostiene Fabiani - con gravi disagi per gli studenti: meno ore di biblioteca la sera, meno riscaldamento durante le lezioni, insomma meno tutto. E poi tagli dolorosi ai servizi informatici e all’offerta didattica. Però, anche se riusciamo a sopravvivere, dopo i tagli non avremo più prospettive, né sviluppo. I nostri studenti si aspettano miglioramenti, non riduzioni».

La credibilità della riforma, dunque, si gioca sui soldi. Soldi che sono un nervo scoperto anche nella maggioranza al punto che Fini ha deciso uno stop di dieci giorni alla Camera a causa della mancanza di copertura finanziaria di molte leggi in discussione. «Recupereremo le risorse per l’università dallo scudo fiscale», rassicura la Gelmini subito dopo avere presentato il ddl. «E i tempi?», si chiede Lauro. «Forse non resisteremo tanto», chiosa Frati.

Ma che cosa cambierà concretamente nella vita degli atenei? E quali novità saranno anticipate anche se la discussione sulla riforma è appena iniziata? «La Sapienza - continua il rettore Frati - per i concorsi adotterà criteri meritocratici chiari ed espliciti, metteranno fine al nepotismo. Riorganizzerà i dipartimenti, che avranno un ruolo centrale per la didattica. Inoltre snellirà gli organi di governo, in modo da renderli meno pletorici. Nel Consiglio di amministrazione, poi, ci sarà subito l’ingresso dei membri esterni. Ma forse la cosa più interessante è che gli studenti con la riforma avranno la certezza di trovare il prof in cattedra».

Già, perché finora i docenti non hanno avuto un orario. Di definito c’era solo l’impegno legato alla attività didattica, 350 ore, di cui 120 da destinare alle lezioni. Con le nuove regole, invece, dovranno essere “certificate” 1.500 ore di lavoro l’anno (36 settimanali). In che modo? «Se ne occuperà il nucleo di valutazione - spiega Renato Lauro, rettore di Tor Vergata - Nucleo che, per garantire trasparenza, dovrà avere molti componenti esterni all’ateneo, il contrario di quello che avveniva in passato. In questo modo lo stipendio non subirà più, ogni due anni, un incremento automatico a prescindere da qualunque tipo di verifica».

«Una rivoluzione, per la prima volta valuteremo l’attività didattica e scientifica dei docenti - sottolinea anche Frati - e gli scatti di stipendio ci saranno solo se meritati. Gli stipendi, quindi, non saranno più uguali per tutti. Per dare i “voti” ai prof useremo indicatori oggettivi e l’impact factor (una valutazione scientifica delle pubblicazioni). Ma sulla progressione di carriera potrebbe influire anche il giudizio degli studenti. Dobbiamo affrettarci a cambiare, non c’è più tempo da perdere».

L’Italia è stata superata da Corea, India, Cina e Giappone e ha meno laureati del Cile. I professori sono vecchi: solo l’8 per cento degli associati e l’1 per cento degli ordinari hanno meno di 40 anni. E gli studenti si laureano ancora troppo tardi, raggiungono il titolo non prima dei 27 anni. Altro triste primato: abbiamo quaranta corsi universitari con un solo immatricolato, 767 con dieci o meno immatricolati e 1.260 con meno di 15. Anche per Marco Mancini, rettore della Tuscia, i punti principali della legge sono condivisibili ma resta il problema del costo zero: nessuna riforma si fa senza investire, anche se in Italia è diventata un’abitudine. Ma sulla legge si profilano dubbi. Per Mancini e Fabiani il progetto di scardinare le Facoltà e di costruire mega dipartimenti potrebbe nascondere non poche insidie e «mettere a rischio l’intero sistema».

E poi l’organicità e la vastità della riforma potrebbero rendere più lungo e tortuoso l’iter parlamentare. Inoltre uno dei passaggi fondamentali, quello sul reclutamento, non è affatto detto che sfugga alle imboscate dell’ope legis, dal momento che si progetta una «abilitazione nazionale» con lista aperta.

«Comunque l’altra novità positiva è la separazione dei poteri all’interno dell’ateneo - osserva Renato Lauro, rettore di Tor Vergata - Consiglio di amministrazione e Senato accademico non si sovrapporranno più e poi nel Cda sarà maggiore la presenza degli esterni. Tutto questo significa più trasparenza. Se sarà marginalizzato il ruolo del rettore, questo non sarà pregiudizievole. Ma la vita dell’ateneo cambierà molto per il tentativo di sprovincializzare le nomine dei docenti: non più solo localismo esasperato con persone che iniziano a insegnare dove hanno studiato e poi fanno carriera nello stesso posto senza spostarsi di un metro. Da lì nascono parentopoli e i concorsi ritagliati ad personam».Anche Lauro, però, vede rischi all’orizzonte: «La ricerca è in pericolo, se ci danno la possibilità di sforare il tetto del 90% del finanziamento ordinario per pagare il personale significa che ci trasformiamo in uno stipendificio. E la ricerca così va a farsi benedire. Domanda: senza soldi la riforma ambiziosa della Gelmini come si tradurrà in fatti concreti


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