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Messaggero: Niente più “tornelli” nelle università, salta il tetto di 1.500 ore per i docenti

Tutti d’accordo sui professori, ma sarà scontro sul Consiglio di amministrazione

12/04/2010
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - Tutti d’accordo nel far saltare l’obbligo delle 1.500 ore di lavoro per i docenti, ma si apre lo scontro sul Consiglio di amministrazione. La Commissione Istruzione del Senato mercoledì prossimo metterà ai voti la riforma dell’università, riforma che riscrive le regole di funzionamento degli atenei. Il testo subirà non poche modifiche.
Sono all’ordine del giorno i 25 punti presentati dal relatore di maggioranza, Giuseppe Valditara, con altrettanti emendamenti. Il primo e sostanziale cambiamento riguarda il «tetto annuo di 1.500 ore per l’attività dei docenti»: cadrà l’obbligo di “certificare” il lavoro dei professori: «Che non è quantificabile in ore - sostiene Valditara - Conta, invece, se uno abbia fatto ricerca e didattica di qualità: possiamo misurare e certificare pubblicazioni e risultati, non le ore, che oltre a non essere documentabili sollevano problemi di incostituzionalità e non hanno alcun senso sul piano della valutazione». Insomma, niente tornelli negli atenei: non sono ministeri con impiegati che svolgono pratiche. Su questo sono tutti d’accordo, maggioranza e opposizione. Ma quali saranno gli altri cambiamenti? Verrà snaturato il testo di partenza? «Assolutamente no», afferma Valditara. L’esponente finiano assicura che gli interventi sono tutti «migliorativi» per eliminare «eccessi di prescrittività e di dirigismo» e afferma che gli emendamenti da lui presentati hanno «sostanzialmente l’ok del ministro».
Comunque, Mariastella Gelmini difende il suo ddl e invita il Parlamento a non fare «passi indietro» ma al contrario a rafforzare gli aspetti qualificanti: «Sulla riforma nessun annacquamento - incalza Gelmini - gli atenei dovranno coniugare autonomia e responsabilità».
Dunque, superato lo scoglio delle 1.500 ore il braccio di ferro è ora sul Cda. La nuova composizione del Consiglio di amministrazione, che prevede l’ingresso di almeno il 40% di esterni, spacca il mondo accademico. Per la maggior parte dei professori e dei ricercatori il ddl consegna «poteri assoluti» al nuovo Consiglio, con un duplice effetto: «rafforzare le oligarchie che hanno portato gli atenei al dissesto» e «ridurre gli atenei a organismi lottizzati, stile Asl».
Le posizioni critiche, con toni diversi, non solo vengono da sinistra, ma anche da un caposcuola del pensiero liberale come Dario Antiseri, professore emerito della Luiss, il quale ha manifestato preoccupazioni e perplessità per «l’eccessivo potere» dato al Cda. Per Antiseri ci sarebbe anche il rischio di compromettere la libera ricerca e l’autonomia accademica, sacrificate sull’altare dell’interesse economico. Di altro parere il mondo imprenditoriale. La Confindustria, con alcuni dei suoi più prestigiosi rappresentanti, vedi Gianfelice Rocca, vicepresidente per l’Education, invoca «il vento nuovo della riforma» perché darebbe una governance migliore agli atenei. D’altra parte l’autonomia senza responsabilità ha provocato molti guasti: dalle corporazioni accademiche ai bilanci in rosso, ai concorsi truccati.
Intanto, Nunzio Miraglia, dell’Andu, l’Associazione nazionale dei docenti universitari, spara a zero: «Il Cda voluto dalla Gelmini avrà funzioni di indirizzo strategico, di programmazione finanziaria del personale, di competenza a deliberare, ad attivare o sopprimere corsi e sedi, avrà perfino ingerenza sulle assunzioni proposte dal dipartimento e sulle sanzioni disciplinari contro profesori e ricercatori... insomma avrà poteri sterminati, gestiti da personaggi esterni all’università, che rispondono a interessi esterni».
L’Andu, poi, critica il ruolo del rettore: «Diventerà un sovrano assoluto, con ampi poteri, potrebbe anche essere il presidente del Cda». Secondo l’Associazione dei docenti inoltre «l’abilitazione nazionale» non sarebbe una garanzia, si rischia il «blocco dei concorsi e l’espulsione di gran parte degli attuali precari».
Il ddl, comunque, si prepara a recuperare alcuni «eccessi». Vediamo gli emendamenti del relatore Valditara: «Fermo restando il principio dell’autonomia responsabile, l’obiettivo è quello di rendere più efficienti i meccanismi previsti da numerose norme. Per esempio, sia nel campo della organizzazione che del reclutamento propongo di sopprimere alcuni commi che sono apparsi maggiormente prescrittivi e dirigisti, prevedendo complessi calcoli fondati su minuziosi quozienti, percentuali, numeri a cui le università dovevano rigidamente attenersi. In realtà, si rende il testo ancora più coerente con i principi dichiarati. Un altro esempio: non è giusto far decidere alle singole università la composizione delle liste dei commissari di valutazione, né è opportuno che il ministero nomini commissari di concorso. Gli emendamenti propongono delle rettifiche. Né appare coerente con una logica di autonomia responsabile che le università si scelgano i revisori dei conti fra i funzionari ministeriali. Mentre i procedimenti disciplinari faranno capo direttamente alle università che devono valutare i dipendenti e non ad un organismo politico di giurisdizione domestica come il Cun». Il senatore aggiunge: «Tra gli emendamenti anche la revisione dell’articolo 9, per semplificare le procedure dei concorsi e renderle più snelle».
Valditara poi spiega che metterà ai voti un’altra novità “forte”: «Potranno essere stipulati accordi di programma con cui consentire ai singoli atenei meritevoli di sperimentare modelli del tutto innovativi in tema di organizzazione, reclutamento e stato giuridico dei docenti. Sarà inoltre valorizzata l’autonomia statutaria dei singoli atenei in materia di governance, scegliendo fra un modello volto a separare i ruoli di presidente del Cda e di rettore, ma sarà anche possibile un modello che unifichi il tutto in una unica persona”. Sarà comunque possibile evitare che rettori non più rieleggibili possano continuare a governare l’ateneo nella veste di presidenti del Cda, per impedire che una “governance duale” paralizzi l’azione del rettore».
Già, ma basta per garantire università più virtuose e meno indulgenti? Vedremo. L’iter della riforma non è terminato, dovrà superare l’aula di Palazzo Madama, e poi andare alla Camera.


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