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Messaggero: Laureato? Benvenuto nella giungla dei master

Costano molto e non tutti servono. Il Comitato di valutazione dell’università: «Va messo ordine»

07/08/2009
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Il Messaggero

ROMA - Dalla consulenza filosofica alla musicoterapia. Dalla cosmetologia allo studio della leadership, passando per tutta una serie di specializzazioni in campo economico, giuridico, medico, giornalistico dai titoli spesso stravaganti, di fronte ai quali viene da chiedersi se quella proliferazione ingiustificata dei corsi universitari contro cui si son battuti sia il precedente che il presente governo non abbia infettato anche il campo dei master. Quelli di primo livello (vi si accede anche con la sola laurea triennale), infatti, secondo gli ultimi dati dell’Ufficio di statistica del ministero, sono oltre 800, quasi 700 quelli di secondo livello. Restano fuori le decine di corsi attivati da privati, non dalle università.
Un’offerta ricchissima che non sempre trova riscontro nell’interesse dei potenziali iscritti. Secondo i numeri del Miur (gli ultimi dati sono relativi al 2006/2007) alcuni dei corsi attivati dagli atenei hanno, infatti, un numero bassissimo di adesioni, anche una sola. Negli anni, comunque, è cresciuto il numero complessivo di iscritti ai master (soprattutto donne): nel 2001/2002 ai corsi di primo livello (ce n’erano poco più di 100) si iscrissero in 3.369, il dato del 2007 parla di 28.608 adesioni. Avanza, infatti, la quota di quanti, prima di entrare nel mondo del lavoro o mentre già hanno una occupazione, vogliono specializzarsi ulteriormente per agganciare opportunità migliori. Ma come orientarsi nella “selva selvaggia” ed evitare, magari, la fregatura (niente sbocchi professionali, contenuti banali di poco diversi da quelli della laurea)? «Ad oggi è quasi impossibile - spiega Guido Fiegna, membro del Cnvsu (Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario)- non esiste una valutazione specifica dei master a livello nazionale. E’ un buco che si è creato ai tempi dell’avvio della riforma del 3+2».
Insomma, è impossibile inquadrare questi corsi in base a precisi parametri di qualità. «Non c’è nemmeno un censimento preciso e aggiornato - continua Fiegna - di quanti siano questi master e di quali siano attivi. Bisognerebbe mettere ordine in questa materia a tutela degli iscritti. Oggi gli atenei hanno libertà assoluta. Peraltro questi corsi non rientrano nemmeno nei limiti sulla contribuzione degli studenti: le università non possono avere più del 20% del fondo di finanziamento ordinario dalle tasse, ma i master restano fuori da questo discorso». Insomma, possono proliferare tranquillamente e senza che vi sia un controllo valutativo nazionale. Per Fiegna, che viene dal Politecnico di Torino, “stupisce che in una materia così delicata non ci siano né valutazione né monitoraggio”. Il risultato finale è che “dietro titoli fantasiosi spesso si nasconde il nulla, corsi dai contenuti poco spendibili”.
Come evitare, dunque, la fregatura? «Bisogna prendere più informazioni possibili - suggerisce l’esperto - innanzitutto sulla stabilità del corso, verificando, ad esempio, da quanti anni è attivo. Ci sono meteore che appaiono e scompaiono rapidamente. Poi bisogna verificare i livelli occupazionali di chi dai quei corsi è uscito negli anni precedenti, studiare i nomi dei docenti e il loro curriculum e capire quale è la struttura ospitante o che li indice.
Mai fidarsi, comunque, dei master che non hanno alle spalle una storia». La scelta migliore, secondo l’esperto, è «affidarsi ai percorsi formativi ricollegabili ad aziende, soprattutto quelli di area tecnico-scientifica o economica. Di solito si tratta di master dove i numeri sono piccoli, in cui le aziende attivano borse di studio perché interessate a premiare e, magari, assumere i migliori».
Al.Mi.


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