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Messaggero: La religione concorre al credito: i giudici dicono sì alla Gelmini

Il Tribunale amministrativo del Lazio aveva stabilito che la materia non aveva alcun peso negli scrutini finali Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso contro la sentenza del Tar

11/05/2010
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Il Messaggero

ROMA - Il Consiglio di Stato ha dato ragione al ministero dell’Istruzione: il voto di religione vale come tutti gli altri e contribuisce alla media. «Sono molto soddisfatta», è il commento di Mariastella Gelmini. Viene così riformata la sentenza emessa dal Tar del Lazio la scorsa estate che tante polemiche aveva suscitato aprendo una disputa tra laici e cattolici. Il Consiglio di Stato infatti ha stabilito che, nel caso l’alunno scelga di avvalersi di questo insegnamento, la materia diventa per lo studente obbligatoria e dunque non può essere considerata in pagella di serie B rispetto alle altre.

Si conclude così la battaglia tra i due fronti e viene ”superata” la sentenza emessa lo scorso 18 luglio dal Tar del Lazio (la numero 7076) secondo cui l’insegnante di religione cattolica non poteva partecipare «a pieno titolo» agli scrutini finali per l’esame di maturità e, dunque, non poteva concorrere nemmeno all’attribuzione dei crediti. Insomma, non aveva lo stesso peso in quella sede degli altri professori.

Il ricorso era partito da alcuni studenti supportati da associazioni laiche e da confessioni religiose non cattoliche che chiedevano, in pratica, l’annullamento dell’ordinanza ministeriale firmata dall’ex ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni adottata durante gli esami di Stato del 2007 e del 2008. Per i giudici del Tar non era corretto che i docenti di religione cattolica potessero attribuire crediti, visto che ai ragazzi di altre confessioni non è data la stessa possibilità di ottenere punteggio in più. Secondo il Tar, far valere l’ora di religione ai fini dei crediti e del voto finale genera disparità tra gli studenti e lede la laicità dello stato. Anche perché, ad esempio, i ragazzi che non si avvalgono della religione cattolica (secondo i dati sarebbero almeno il 10% della popolazione scolastica) spesso non hanno una valida alternativa: vengono fatti uscire prima o entrare dopo perché mancano attività sostitutive. Per chi non segue questa disciplina, dunque, il rischio è quello di guadagnare crediti in meno ingiustamente.

La decisione del Tar, a luglio, aveva determinato l’immediata la reazione dei vescovi: la Conferenza episcopale aveva parlato di «sentenza pretesuosa» e di «bieco illuminismo». Una posizione sostenuta dal ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, molto vicina al mondo cattolico, che aveva presentato ricorso al Consiglio di Stato. Per il ministro, infatti, «non è giusto sminuire il ruolo dei docenti di religione, come se esistessero insegnanti di serie A e di serie B». Anche tra le file del Pd c’è stato chi ha sostenuto e sollecitato iniziative della Gelmini, come l’ex ministro Beppe Fioroni, pure lui di area cattolica e autore dell’ordinanza oggetto del ricorso. A mettere ordine in tutta questa diatriba era arrivato il nuovo regolamento sulla valutazione degli alunni pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 agosto che, in pratica, superava l’ordinanza oggetto della sentenza del Tar. I professori di religione, infatti, secondo il testo divenuto legge, possono a tutti gli effetti dare i crediti. Il regolamento prevede che il «punteggio per il credito scolastico» venga attribuito «in sede di scrutinio finale» dal consiglio di classe a cui partecipano «tutti i docenti», compresi «gli insegnanti di educazione fisica, gli insegnanti tecnico-pratici, i docenti di sostegno, nonché gli insegnanti di religione cattolica limitatamente agli alunni che si avvalgono di questo insegnamento».


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