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Messaggero: La lenta (e spesso inutile) scalata alle graduatorie

Il sistema finora ha prodotto solo un esercito di precari. E chi è entrato ha «stipendi da fame»

15/02/2010
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Il Messaggero

ROMA - Migliaia di insegnanti hanno raggiunto la cattedra dopo anni di “scorrimento” in graduatoria. Si avanzava passo dopo passo. Errori, carte bollate, Tar, concorsi a singhiozzo. Un inferno, mentre l’esercito dei precari si faceva sempre più grosso. C’è chi in cima alla graduatoria non è mai arrivato. Non ha fatto in tempo. Molti avevano titoli e meriti, molti altri no. Dal 2000, l’anno del concorsone di Berlinguer, con un milione di partecipanti, non sono più usciti bandi. Le graduatorie erano gonfie. Poi c’erano le Ssis, le scuole di specializzazione universitaria con valore abilitante. Poi è scoppiata la guerra tra sissini e precari. Una guerra tra poveri. Fioroni nel 2007 disse smettiamola con il sistema delle graduatorie permanenti, non possono vivere in eterno. Non sono ancora esaurite. Ora il governo scommette sui provvedimenti che stanno per essere varati.
Almeno in apparenza non sono tanto diversi da quelli che furono proposti da altri governi, sia di centrosinistra che di centrodestra, con ministri come Berlinguer, De Mauro, Moratti. La commissione interministeriale guidata dallo storico Nicola Tranfaglia, nominato da Tullio De Mauro, una decina di anni fa aveva proposto “tre anni di laurea base”, cui si aggiungevano “due anni di laurea specialistica e un anno di inserimento nell’attività professionale attraverso un tirocinio mirato nelle scuole”. Se il piano fosse passato già allora sarebbero stati necessari 5 anni di studio più 1 di tirocinio con l’acquisizione di 300 crediti formativi, 60 dei quali dovevano riguardare le scienze dell’educazione. Allora non se ne fece nulla, a causa dei governi precari, così siamo andati avanti con la filosofia della sopravvivenza.
Ma senza la rivalutazione dei docenti sarà difficile invertire rotta. «Un professore guadagna meno di un vigile del fuoco, di un impiegato ministeriale, e anche meno di un poliziotto, di un militare e di un dipendente del servizio sanitario nazionale», sono i dati della Ragioneria generale dello Stato che nel 2008 confrontò gli stipendi. Un maestro di scuola elementare dopo 35 anni di servizio guadagna 1.750 euro; il docente delle medie, sempre dopo 35 anni, 1.950 euro; quello delle superiori un centinaio di euro in più. «Stipendi da fame - ammette la Gelmini - Una situazione che vede la scuola italiana in grave ritardo rispetto all’obiettivo di allinearsi all’Unione europea. Ma non ci saranno aumenti a pioggia, deve valere il merito».
Secondo la Gelmini il male della scuola italiana è che abbiamo «troppi dipendenti e poco pagati, con una carriera pressoché piatta» e un generale «abbassamento della qualità». Già alla fine degli Anni ‘90 il governo di centrosinistra aveva tentato di differenziare gli stipendi, ma il metodo scelto fu contestato e divise gli insegnanti. Tutto svanì in una bolla di sapone
Per cambiare c’è una occasione storica, che non si sa se coglieremo. Entro i prossimi otto-dieci anni sarà rinnovato tra il 35 e il 45 per cento del corpo insegnante per ragioni anagrafiche. Dei soldi si dovrà discutere nelle prossime settimane. Il contratto di lavoro degli 800mila docenti italiani è scaduto il 31 dicembre scorso. «In ogni caso è impensabile che si continuino a fare aggiustamenti retributivi, lasciando il quadro inalterato - sostiene Giorgio Rembado, il leader dei presidi - Occorre distinguere tra lo stipendio di chi fa molto e di chi si limita allo stretto necessario. Il mancato riconoscimento del merito provoca danni e demotiva gli insegnanti, anche i migliori».
A.Ser.


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