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Messaggero: «La laurea breve, un flop Ora premiate il merito»

La Corte dei conti boccia la riforma del ’99

20/04/2010
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - A più di dieci anni dall’introduzione del sistema di lauree a doppio ciclo, laurea breve e laurea specialistica, la Corte dei Conti boccia il “3+2”. «L’attuazione della riforma - scrivono i giudici contabili nel Referto sul sistema universitario pubblicato ieri - non ha prodotto gli effetti attesi. Non sono aumentati i laureati e non è migliorata l’offerta formativa, soprattutto per una mancata visione d’insieme, avendo ogni facoltà e spesso ogni area scientifica affrontato i problemi separatamente rispetto alle altre. Risultato: un sistema centrato sul docente, non sullo studente, e una eccessiva frammentazione delle attività formative, nonché una moltiplicazione non motivata dei corsi di studio». «Il numero complessivo dei corsi di studio - sottolineano i magistrati - è andato progressivamente aumentando sino al 2007-2008, raggiungendo 5.519 corsi attivi di I e II livello». L’effetto moltiplicativo è stato innescato soprattutto dalla crescita esponenziale dei corsi di laurea specialistica, raddoppiati in quattro anni: da 1.204 a 2.416 tra il 2004 e il 2008. Secondo le stime del Consiglio universitario nazionale, comunque, si dovrebbe scendere a 2.500 corsi triennali e a circa 2000 del biennio magistrale. «Infatti, ora c’è una inversione di tendenza e comportamenti più virtuosi, gli atenei stanno eliminando gli eccessi», osserva Vincenzo Palomba, uno dei magistrati che ha redatto il rapporto, che verrà inviato al Parlamento per fornire un quadro degli attuali profili finanziari e gestionali del sistema universitario.
Preoccupante una considerazione di fondo: «Il quadro che ne esce - scrivono i magistrati - mette in risalto la vischiosità del sistema, il quale vede coinvolti soggetti diversi con attribuzioni spesso giustapposte e sconta, per altro verso, la mancanza di una legge organica». La Corte dei Conti si riferisce a un sistema poco chiaro di poteri e responsabilità, tra Ministero, Regioni, sistema di valutazione (da organizzare) e singole università in una prospettiva di riassetto dell’intero mondo accademico. L’altro aspetto critico rilevato dalla Corte dei Conti riguarda la spesa per il personale, spesa che ha registrato «un incremento dell’8,3% nel triennio 2006-2008 e un raddoppio, 52,1% dal 1998 a oggi» perché il numero dei professori è salito del 23% in pochi anni (ora sono 18.228 gli ordinari, 17.549 gli associati e 24.492 i ricercatori). Ma a fronte dell’aumento di spesa per i docenti è calata quella per gli studenti: l’Italia nel confronto europeo con gli altri Paesi dell’Ocse è al di sotto della media (8.725 dollari contro i 12.336 degli altri stati). Cosa resa più grave dalla rilevante percentuale di abbandoni dopo il primo anno di studi, pari al 20%, valore sostanzialmente analogo al periodo ante-riforma.
I giudici, per curare i mali dell’università, incoraggiano la politica meritocratica e raccomandano di indirizzare le risorse soprattutto verso gli “atenei più meritevoli”. E inoltre raccomandano di tenere elevata la quota di finanziamenti pubblici per l’università e la ricerca.


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