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Messaggero: Il lavoro in tempo di crisi? Più “spintarelle” che curricula

Unioncamere: le imprese preferiscono conoscenti e segnalazioni, soprattutto al Sud. Vaciago: «Triste primato

15/08/2009
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE
ROMA - La ”spintarella” riprende quota. Complice la crisi. In tempi di magra per le aziende «la regola d’oro è non rischiare». «Così i Centri per l’impiego, le banche dati per mettere in contatto domanda e offerta o gli annunci su Internet, servono meno». Il canale per le assunzioni, nell’Italia della crisi, è sempre di più quello familistico e amicale. Ma questa è la sconfitta della meritocrazia. Lo rivela un’indagine di Unioncamere diffusa ieri: «Rispetto al 2008 - scrive Unioncamere - la quota di imprenditori che si sentono caldeggiare un candidato è aumentata di 2,6 punti percentuale (dal 9,1 all’11,7%). Se lo scorso anno solo l’8,4% degli imprenditori intervistati riteneva la raccomandazione genericamente importante, nel 2009 questa percentuale è salita al 9,8% con una punta dell’11,9 nel Nord-Ovest». E chi, con molte cautele, comincia a programmare qualche assunzione «non è disposto a rischiare investendo in candidati sconosciuti».
La “spintarella” è un vizio italico, una malattia da cui nessuno sembra poterci salvare. A sentire le confessioni degli italiani nessuno ammette di avere approfittato delle raccomandazioni. Però, se si tratta del vicino di scrivania, con più leggerezza arriva la conferma che Tizio e Caio sono entrati con “l’aiuto” di chi di dovere. Qualcuno vorrebbe far credere che i raccomandati sono sempre gli “altri”. Ma poi, con qualche sforzo di memoria e un’iniziale reticenza, chi negava si decide a rivelare che «se ha un impiego è per l’intervento di un “santo in paradiso”». «Conoscenza diretta e segnalazioni contano più dei curricula e dei titoli faticosamente conquistati», osserva Unioncamere. I dati sono allarmanti: «Per la maggior parte delle imprese di tutta Italia (il 53,8%), la conoscenza diretta e le segnalazioni contano più al Sud, ma in tutto il Paese sono il principale canale per la selezione del personale».
Onorevoli, portaborse e gran commis di Stato, ma anche professionisti ricchi e potenti, non si tirano indietro. La raccomandazione fa parte della logica dello scambio, oggi tu fai un piacere a me, domani lo faccio io a te. Una pratica molto diffusa nel nostro Paese. Così i giovani, delusi per il merito negato, vivono la cultura della ”non speranza”. «Fammi un favore..., puoi fidarti di me, prendi tal dei tali». E’ questo il succo delle lettere inviate agli amici degli amici e ai potenti che governano le lobby. Dietro ci sono le famiglie, scatenate nella caccia al potente di turno, per ottenere favori sia nel settore privato che pubblico. Ed ecco un altro dato significativo: «Per il 38,7% delle imprese con almeno un dipendente il canale preferito per assumere nuovo personale nel 2009 è più che in passato la conoscenza diretta del candidato (+3,5% rispetto al 2008).
Ma gli esperti, quelli che conoscono il mercato del lavoro, che cosa dicono? «Partiamo dal concetto che un’azienda per assumere ha bisogno di conoscere chi si porta in casa - sostiene Claudio Gentili, docente di Economia del lavoro e della Formazione all’università di Firenze e delegato della Confindustria per scuola e università - L’importante è cambiare sistema, dico sempre ai ragazzi che devono puntare sugli stage, sono un sistema di preselezione. Le statistiche dimostrano che chi li frequenta ha il 30% di possibilità in più di trovare lavoro, perché mettono in contatto chi assume e chi cerca. Così le banche dati, tra le università Luiss e Sapienza hanno fatto da apripista». L’economista della Cattolica Giacomo Vaciago mette in luce un altro aspetto: «La raccomandazione è un triste primato del Belpaese. Onorevoli, sindaci e potenti scrivono lettere che fondano sul criterio della reciprocità. Fammi un favore, ne terrò conto... Le lettere di presentazione non sono di per sè un male, dipende da come sono fatte! Devono dare garanzie sulle qualità del candidato e vanno scritte da chi ha i titoli per presentare e garantire. In tutto il mondo anglosassone è così che si fa, da noi accade il contrario».


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