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Messaggero-GLI ALUNNI HANNO BISOGNO DI QUELL'ORARIO LUNGO

GLI ALUNNI HANNO BISOGNO DI QUELL'ORARIO LUNGO di BENEDETTO VERTECCHI * DON Milani notava che la differenza tra i ragazzi appartenenti a famiglie di diversa condizione sociale ...

17/01/2004
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Il Messaggero

GLI ALUNNI HANNO BISOGNO DI QUELL'ORARIO LUNGO
di BENEDETTO VERTECCHI
*

DON Milani notava che la differenza tra i ragazzi appartenenti a famiglie di diversa condizione sociale si rivelava nella diversa consistenza del numero di parole a disposizione per esprimersi. Alla medesima conclusione si giunge se si considerano i dati delle rilevazioni sull'apprendimento scolastico effettuate negli ultimi 40 anni, ossia da quando, dopo la riforma della scuola media del 1962, ha avuto inizio anche in Italia il processo che ha condotto a scolarizzare, per un numero consistente di anni, l'insieme della popolazione.
Dal punto di vista educativo ciò vuol dire che parte degli allievi che accedono alla scuola, quelli appartenenti a famiglie di condizione socioculturale più favorevole, appaiono, per così dire, preadattati al compito di apprendimento, mentre la parte restante deve acquisire nella scuola anche quelle competenze che la tradizione e gli stessi programmi di insegnamento considerano scontate.
E' evidente che l'adattamento scolastico dei bambini e dei ragazzi provenienti da contesti socioculturali modesti è generalmente più lento e difficile.
In un paese come l'Italia, di recente scolarizzazione, un simile svantaggio iniziale riguarda la maggioranza degli allievi. Ne deriva, se l'intento del sistema scolastico è quello di offrire a tutti le medesime opportunità di istruzione, che i modi in cui si esprime l'intervento della scuola debbono essere tali da compensare le differenze riferibili alle condizioni di esperienza che caratterizzano la vita quotidiana degli allievi. In altre parole, ciò che basta per gli allievi che godono di condizioni di contesto più favorevoli, non è sufficiente per gli altri.
Da queste considerazioni è nata l'esigenza del "tempo pieno".
Non si è trattato semplicemente, come avveniva nei "doposcuola", di assicurare la custodia degli allievi in orari in cui i loro genitori erano impegnati nel lavoro, ma di incrementare l'offerta di istruzione qualificando ai fini dell'apprendimento un tempo più esteso di quello che si era abituati a considerare nell'orario scolastico tradizionale: il tempo pieno ha rappresentato quindi una risposta ad una esigenza democratica, quella di contrastare lo svantaggio educativo di origine sociale.
Negli ultimi due decenni non sono mancate valutazioni critiche delle esperienze di tempo pieno. E' stato fatto notare che i livelli di apprendimento degli allievi delle sezioni a tempo pieno non erano generalmente migliori di quelli delle sezioni a tempo normale. Ma chi ha tratto argomento da queste osservazioni, per affermare la scarsa utilità del tempo pieno, non ha tenuto conto che l'intento non era quello di ottenere risultati migliori ma di compensare lo svantaggio che impediva ad un gran numero di allievi di conseguire più o meno i medesimi risultati della parte più favorita della popolazione scolastica, quella che frequentava la scuola "del mattino".
Non aveva senso comparare sic et simpliciter risultati delle sezioni a tempo pieno con quelli delle altre; se mai il confronto si sarebbe dovuto fare attraverso la comparazione dei risultati di allievi appartenenti agli stessi strati sociali iscritti a sezioni normali o a tempo pieno.
Una conferma della validità della scelta, effettuata dilatando l'offerta scolastica, viene dai risultati delle due ultime grandi indagini internazionali cui l'Italia ha partecipato: si tratta di un'indagine dell'Ocse sul profilo culturale della popolazione di quindici anni (2000) ed una della associazione Iea sulla capacità di lettura dopo quattro anni di scuola (2001). Da entrambe queste indagini emerge che un aspetto positivo del sistema scolastico italiano consiste nel presentare differenze meno forti nella parte bassa della distribuzione dei risultati: in altre parole, la scuola italiana è apparsa socialmente più equa di quella di altri paesi, come l'Inghilterra o gli Stati Uniti, in cui le differenze fra i risultati migliori e quelli peggiori sono molto più estese.
* Ordinario di Pedagogia all'Università Roma Tre


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