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Messaggero-Bambini del mondo,italiani in classe

2003 Le vie dell'integrazione - 1/Viaggio nelle scuole di un quartiere di Torino frequentate da una altissima percentuale di figli di immigrati. L'esperienza di insegnanti e presidi. E quella di ...

27/03/2003
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Il Messaggero

2003
Le vie dell'integrazione - 1/Viaggio nelle scuole di un quartiere di Torino frequentate da una altissima percentuale
di figli di immigrati. L'esperienza di insegnanti e presidi. E quella di un parroco che dice messa in due lingue
Bambini del mondo,italiani in classe
dal nostro inviato

CORRADO GIUSTINIANI

Torino
A Loic dalla pelle color cioccolato, che sta affrontando il pesce arrosto con la bocca ancora bagnata di minestrina, quella domanda blocca la forchetta a mezz'aria. "E tu, piccolino, da dove vieni?". Rotea per un momento gli occhi e mette in moto la risposta, naturale quanto saggia. "Ma da casa mia, no?". Non ci capacitiamo ancora che possa essere italiano un bimbo di quattro anni che pure si esprime nella lingua di Dante e ben poco sa del Camerun, la terra dei suoi genitori. E' questo il suo paese, anche se la spietata legge sulla cittadinanza del 1992, varata col sì unanime di destre e di sinistre, gli impone di aspettare i 18 anni, per chiedere a vossignoria la grazia di diventare italiano.
Abita a Torino, Loic, nel quartiere San Salvario, quadrilatero di bei palazzi ottocenteschi accanto alla Stazione Porta Nuova, che negli ultimi dieci anni ha smarrito la tradizionale connotazione borghese per popolarsi intensamente di stranieri. Alla scuola materna Bay, che accoglie il bimbo fino a sera, il 50 per cento degli iscritti è figlio di immigrati. Un primato assoluto. Maghrebini, slavi, romeni, dell'Africa nera, sudamericani. Alla Manzoni, che ospita le elementari e medie, gli stranieri sono il 37 per cento: e dire che il primo, un ragazzino polacco, era arrivato soltanto nel 1994. E' come se all'improvviso un pezzo di New York fosse caduto dal cielo in pieno centro urbano.
L'effetto poteva essere micidiale: provocare la diaspora delle famiglie italiane dalle scuole del borgo, scatenare la corsa degli insegnanti al trasferimento, sancire il declino irreversibile degli istituti e la nascita del ghetto. "E invece forse ce l'abbiamo fatta - sospira Paola Pozzi, da sette anni assessore ai Servizi educativi -. Dagli ultimi dati sulle iscrizioni, pare che la fuga sia stata tamponata, mentre gli insegnanti sono sempre stati motivati e stanno dando il massimo. Piano piano, sta forse spuntando il fiore dell'integrazione". Un miracolo.
Anzi, una magia. Chiamata 'Sul tappeto volante", un progetto triennale del Comune di cui si è esaurito da poco il primo ciclo, che in pratica ha posto il territorio al servizio della scuola e dei ragazzi. Impedendo che, usciti dalla classe, finissero per strada, e mettendo in rete oratori e associazioni di volontariato, che hanno organizzato doposcuola, attività ricreative e sport. I bimbi delle materne, manco vivessero alla Crocetta, il quartiere 'in" di Torino, seguono persino i corsi di acquaticità in piscina. "Abbiamo avuto uno sponsor, l'Istituto San Paolo, che ci aiuterà ancora - confida la Pozzi -. Ma soprattutto abbiamo messo a punto un metodo di intervento che può funzionare a regime, e che ha la scuola come momento propulsore".
Marica Marcellino, direttrice della Bay, sullo sfondo di un gigantesco scivolo rosso che va da un piano all'altro, spiega che gli insegnanti non hanno avuto il tempo di seguire nessun corso: "Si sono fatti le ossa sul campo". Ne è scaturita una strategia in quattro punti. Primo, rinnovare la didattica, creare un fermento sperimentale. Secondo, usare i 'linguaggi creativi", la musica, il teatro, la pittura, perché attraverso questi è più facile comunicare fra culture diverse. Terzo, cercare una relazione tra scuola e genitori stranieri: il mercoledì pomeriggio le mamme hanno lezione di italiano (e di straforo portano in classe anche delle amiche) e in passato hanno partecipato con gli alunni a uno spettacolo che metteva in scena la paura. Quarto, insegnare l'italiano ai bimbi, che a quell'età sono delle spugne.
Ben più complicato, l'apprendimento della lingua, quando davanti non c'è un piccolo di tre anni ma un ragazzo di 13, che magari arriva in Italia per la prima volta e ad anno scolastico già iniziato. "E' un caso piuttosto frequente, questo, ed è il più duro da risolvere - osserva Bernardo Ascoli, preside delle elementari e medie Manzoni di San Salvario -. L'immigrato si trasferisce a gennaio con la famiglia perché ha trovato un nuovo contratto, al posto di quello a termine, scaduto. O magari arriva dall'altro emisfero. Che facciamo: diciamo al ragazzo, ripassa fra qualche mese, e lo lasciamo per strada?".
Bernardo Ascoli ha messo così a punto un sistema flessibile e personalizzato per l'insegnamento dell'italiano che ha ricevuto i complimenti anche del professore americano Charles L. Glenn, venuto a trovarlo dal Dipartimento istruzione dell'Università di Boston. Per le elementari sono stati presi tre insegnanti in organico aggiuntivo, e così, se il bambino arriva in prima, ha tempo per apprendere con calma le strutture della lingua. Riceve da tre a cinque ore di lezioni individuali la settimana, sfruttando anche il doposcuola. Dopo un anno, al massimo due, supera ogni problema di comunicazione.
Per le medie, invece, è stato siglato un contratto con due insegnanti che conoscono il cinese e l'arabo, le due lingue estreme e più 'incomunicabili". Il piano qui è su tre livelli. L'emergenza, affidata ai due contrattisti: il ragazzo riceverà le sue lezioni individuali di lingua a danno delle materie in cui vi sono più ore (italiano e matematica). Dopo tre mesi ha gli strumenti per una prima comunicazione di base, e passa al secondo livello, sotto le cure di quattro insegnanti di italiano, pagati per le ore eccedenti. Infine scatta il livello di perfezionamento.
Sta sempre seduto al computer per preparare progetti che attirino finanziamenti, il preside Ascoli. Ecco l'ultimo: insegnare la geografia in inglese, ma attenzione, con personale di madrelingua, durante le ore di italiano e assieme all'insegnante di italiano. "L'inglese si presta naturalmente a fungere da lingua-ponte con le varie culture, e la geografia ci consente di parlare di altri paesi e di altri popoli. In più, la scuola si rende utile a chi un giorno cercherà lavoro all'estero".
Fra i protagonisti a tutto campo del progetto integrazione c'è don Piero Gallo, il parroco. La sua Messa della domenica sera è in doppia lingua. Vangelo letto in inglese, e traduzione italiana sulla lavagna luminosa, omelia in italiano e sintesi finale in inglese. Don Gallo funge pure da ufficio di collocamento: "Ho piazzato centinaia di colf e badanti. Le famiglie si fidano della parrocchia e io magari so poco di quella persona, ma punto al risultato". Dialoga con l'Imam di Torino, celebra matrimoni misti, accoglie i musulmani nel suo oratorio: di recente alcuni di loro hanno chiesto il battesimo. Racconta che più di un anziano ha fatto testamento a favore della sua badante e giura che l'integrazione sta contaminando anche le diete: "Vedo al mercato molte signore bene che vengono a comprare banane verdi per gustarle fritte, come fanno gli africani".



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