Messaggero: Atenei, si avvicina la riforma: meno facoltà, fondi al merito
Il ministo Gelmini: «Per i docenti certificazione del lavoro»
di ANNA MARIA SERSALE
ROMA - «Questo è il primo provvedimento organico che riforma l’intero sistema universitario - lo dichiara il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini nella relazione al disegno di legge sull’università - Il ddl afferma il principio che l’autonomia delle università deve essere coniugata con una forte responsabilità: finanziaria, scientifica e didattica. Se saranno gestite male riceveranno meno finanziamenti». E’ iniziato il conto alla rovescia. La riforma degli atenei andrà in aula in Senato il 15 giugno: il sì della maggioranza è scontato, l’opposizione darà battaglia. Ma vediamo che cos’altro prevede il provvedimento: i docenti avranno l’obbligo di certificare la loro presenza a lezione, per evitare che si riproponga senza soluzione il problema delle assenze dei professori. Inoltre, per la prima volta, viene stabilito un riferimento uniforme per l’impegno dei professori a tempo pieno per il complesso delle attività didattiche che non dovranno essere meno di 350 ore, compreso il servizio agli studenti. Un tema controverso, questo del lavoro certificato. «Vero - spiega Giuseppe Valditara, relatore della legge in Senato - ma ora il testo funziona perché se è giusto documentare la didattica, non è possibile quantificare in ore la ricerca. Perciò abbiamo cancellato l’obbligo delle 1.500 ore per studio e ricerca, che devono essere valutati sulla base dei risultati ottenuti». Ma come certificheranno i prof le ore in aula? Rispunta l’ipotesi di badge e tornelli? «Dovranno pensarci gli atenei, forse utilizzando dei registri», risponde il senatore Valditara.
Dunque, più controlli, trasparenza, un massimo di otto anni per il mandato dei rettori, un codice etico per evitare i conflitti di interesse legati a “parentele” e criteri meritocratici. Inoltre la governance dovrà garantire più trasparenza nelle assunzioni e nell’amministrazione. Tutto per combattere la piaga del nepotismo. «Mi auguro che questa riforma non sia stravolta né dalla maggioranza, né dall’opposizione, ma che sia confermata, è un’occasione unica per dare una svolta al sistema e metterci al passo con il resto d’Europa», è l’appello del ministro Gelmini. «Tutto ciò che porta cambiamento giova al sistema, dalla riduzione dei corsi agli interventi sulla governance, agli esterni nel Cda», Franco Cuccurullo rettore di Chieti e presidente del Comitato di valutazione della ricerca dà giudizi positivi.
«Sì, ma non basta, questa è ancora una riformina - sostiene l’economista Giacomo Vaciago - perché non risolve alcuni problemi principali: continuiamo a fare finta che le università siano tutte uguali, mentre Sarkozy in Francia ne ha selezionate dieci di serie “A” e la Merkel in Germania 16. A queste, che sono state fatte a numero chiuso, danno una barca di soldi, le altre sono mediocri». Un altro analista, Roger Abravanel, autore del best seller “Meritocrazia”, è soddisfatto per «il fondo sul merito, l’ho proposto ed è stato accolto», dice. Ma è critico su un altro punto: “Nel Cda gli esterni sono ancora una minoranza, se il consiglio di amministrazione è ancora dominato dai professori, che sono il corpo elettorale, carriere e retribuzioni non saranno trasparenti”. Per il relatore Valditara i poteri sono bilanciati.
La riforma prevede anche un drastico taglio delle facoltà. «Non potranno essere più di 12 per ciascun ateneo. Noi ci siamo già adeguati, l’ho messo nel nuovo Statuto. Una perdita? No, una razionalizzazione», afferma il rettore della Sapienza, Luigi Frati. E’ d’accordo con Frati Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale: «Per i nuovi che si dimostrano bravi c’è il posto da associato e a quelli da anni in servizio che gli diciamo? Vanno valutati per passare a un grado superiore». «Finora il ddl non dà una soluzione vera» incalza Marco Merafina, portavoce del Coordinamento dei ricercatori universitari