Merito sì, merito no. La scuola rioccupa (a sorpresa) le prime pagine
Il Ministro Profumo non si aspettava, per sua stessa ammissione, una reazione così estesa e così polemica alla sua proposta di Decreto Legge sulle “misure urgenti per la valorizzazione della capacità e del merito”.
di Antonio Valentino
Il Ministro Profumo non si aspettava, per sua stessa ammissione, una reazione così estesa e così polemica alla sua proposta di Decreto Legge sulle “misure urgenti per la valorizzazione della capacità e del merito”.
Ha cercato, con dichiarazioni successive, di aggiustare il tiro rispetto a contenuti iniziali, ma il senso della operazione e le misure proposte non appaiono modificate neanche nell’ultima bozza. Così si può leggere ancora, già nel primo articolo, che tutti gli istituti, compresi quelli paritari, devono prevedere sistemi premianti per gli alunni migliori, coinvolgendoli in competizioni nazionali o internazionali e che la regola vale sia per gli studenti delle superiori che per quelli più piccoli delle elementari. E vengono ancora previste ‘master class estive di formazione’ – che avranno anche un significato, per chi le conosce -, destinate a quanti si piazzano ai primi tre posti delle olimpiadi e di altre competizioni equivalenti. Oltre alla la medaglietta di «studente dell'anno» - un’autentica chicca, converrete - al ragazzo, unico e solo, individuato, in ciascun istituto, tra quanti alla maturità otterranno 100/100, e non un punto di meno.
Ma un indubbio merito – per rimanere in tema – questa proposta comunque l’ha avuta: quello di riportare in primo piano, su giornali e riviste on line ( finora), problemi veri della scuola oggi, attraverso riflessioni e polemiche il cui significato, inequivoco, mi sembra prevalentemente questo: il pianeta scuola, almeno a sinistra, ha, su terreni delicati come quelli dell’equità e dell’uguaglianza - soprattutto in una fase della vita del sistema di istruzione in cui la scuola ha smesso, sciaguratamente, di essere strumento di promozione sociale -, antenne sviluppate e profondità e aperture di ragionamento che sanno riemergere al momento giusto.
Personalemnete ho colto, in questo vero e proprio fuoco concentrico, alcuni elementi importanti di rilancio di un discorso democratico sulla scuola.
Ho letto infatti nella maggior parte degli interventi (tanti e un po’ ovunque) la critica ad una idea di scuola che - soprattutto negli ultimi decenni e sull’onda di una ideologia neo liberista che l’ha fatta da padrona soprattutto con i governi Berlusconi - ha teso a previlegiare la domanda individuale di istruzione (l’equità come “soddisfazione delle preferenze del cliente”) e a mettere in crisi il valore della ‘universalità’ del diritto all’istruzione (la scuola-istituzione – a dirla con uno slogan - come servizio per tutti i cittadini, equa ed ‘eguale’ nelle opportunità).
Conseguentemente a tale critica, si è registrata, nella maggior parte degli interventi, la messa in primo piano di un’idea di scuola volta a recuperare sì il valore del merito, ma dentro ad una ritrovata e prioritaria vocazione - che è la sua ragion d’essere - a contrastar, prima di tutto, abbandoni, disaffezioni e demotivazione legati allo svantaggio socioeconomico.
Vertecchi, su ‘Tuttoscuola’, ad esempio, ha richiamato (con altri), non solo che “si può apprezzare il merito solo se si rivela dopo che sia stata assicurata una sostanziale uguaglianza delle opportunità di apprendere”; ma anche che il merito, se ripropone” interpretazioni della riuscita scolastica centrate solo sulle caratteristiche personali, tacendo sulle ragioni delle differenze che si manifestano tra gli allievi”, si colloca fuori della prioritaria ragion d’essere della scuola.
Cosa ovvia, diranno in tanti, ma che forse non appare tale nell’articolato del Decreto del Ministro.
Nadia Urbinati (su ‘la Repubblica’), a sua volta, ha invece sottolineato in modo particolare che “Una scuola che è votata al ‘primo’ è una scuola votata alla mediocrità, non al merito, perché spronata non a formare molti studenti, ma a blasonarsi con il nome del vincitore”. Ma ha richiamato anche che “Quanto più l’ambiente è ricco di stimoli, tanto più numerosi diventano i talenti che emergono”.
Arricchire la società di un numero alto di potenziali ‘migliori’ - e non concentrarsi su chi dovrà tagliare per primo il traguardo – diventa in quest’ottica, il primo impegno di una scuola equa ed ‘eguale’.
L’interrogativo che comunque emerge in molte prese di posizione considerate non è: merito sì, merito no.
Ma, piuttosto, come evitare che le idee di una scuola dell’equità e dell’eguaglianza che valorizzi il merito (legato al raggiungimento degli obiettivi attraverso l’impegno personale, lo sforzo, l’intelligenza critica, la tenacia) si smarriscano dietro logiche al ribasso o ambigue.
Su questo punto, Maria Chiara Carrozza ribadisce opportunamente (su ‘l’Unità’) che “Eguaglianza, si intende, non come primato al ribasso della mediocrità, ma come generalizzazione delle condizioni di accesso all’eccellenza”.
Come si vede, una riflessione a tutto campo da cui è forse possibile derivare idee guida per una politica scolastica di rinnovamento. Come quella, ad esempio, volta a ridare slancio ad una idea di scuola per tutti e per ciascuno, tesa a ‘promuovere’ (motivare, coinvolgere) tutti e a coltivare, in quest’ottica, gli studenti ‘bravi’.
Ottica che è tutto il contrario di una scuola della mediocrità che condiziona al ribasso anche i ‘talenti’. Che non trovano così ragioni per coltivarsi e diventare risorsa per il gruppo in cui sono inseriti.
O anche l’idea guida di sviluppare consapevolezza, soprattutto tra docenti e dirigenti, che la scuola “di” tutti (quella che a partire dalla metà degli anni 60 ha permesso la scolarizzazione di massa, da considerare comunque un gigantesco passo in avanti) non è ancora la scuola “per” tutti; e che la scuola “per” tutti non è la scuola del livellamento al ribasso, ma la scuola che mette al centro dei processi di apprendimento lo studente coi suoi bisogni e le sue attese e che per questo si mobilita, si attrezza culturalmente e professionalmente.
Se queste deduzioni hanno un senso (e penso che ce l’abbiano), la questione, nel decreto ministeriale, è, dunque, evidentemente mal posta.
D’altra parte – e non è una novità per chi nella scuola vive e lavora –, premiare il merito nei nostri istituti già in qualche modo si fa – e non da oggi -, anche se non c’è una vera e propria strategia al riguardo e le risorse a disposizione sono quelle che sono. E lo si fa sia attraverso valutazioni alte ed esoneri dal pagamento delle tasse scolastiche, sia attraverso altri riconoscimenti che le scuole che funzionano si inventano (favorendo, ad esempio, la partecipazione, a carico della scuola, ai viaggi di istruzione degli studenti capaci e meritevoli o coinvolgendo studenti “bravi” – e riconoscendone il protagonismo, pur nella modestia delle risorse disponibili - in esperienze di ‘peer education’ o in progetti di varia natura).
La sfida – quella vera e in linea con la ragione sociale della scuola-istituzione – diventa allora: coltivare i meritevoli per capacità e impegno – perché questo fa bene anche alla scuola - e promuovere, contestualmente, nelle classi e nei gruppi di lavoro, “un clima di collaborazione, di reciprocità, di empatia, di relazione d’aiuto, di costruzione collettiva del sapere e delle competenze” assunte a obiettivi didattici (Giancarlo Cavinato, su ‘ScuolaOggi’).
E qui il discorso tira in ballo, in primo luogo, il ruolo dell’insegnante – come collettivo - e la sua capacità di ascoltare in modo attivo, di motivare e coltivare, di gratificare e incoraggiare, di correggere e diventare ‘alleato’ dei proprio studenti nell’indicare traguardi credibili e sensati e dar loro strumenti e suggerimenti diversificati, ove è il caso. E anche di sanzionare, nelle situazioni che lo richiedono, senza staccare mai la spina.
Cose che ogni insegnante e dirigente minimamente attrezzato sa e pratica con efficacia, senza bisogno di ricorrere a premi speciali o a medaglie al valore. Ma quanti sono? Quanti hanno maturato consapevolezza e cultura professionale, attraverso percorsi di formazione e riconoscimenti opportuni, per ‘agire’ comportamenti e pratiche di questo tipo? Chi al ministero si preoccupa di questo e di quello che c’è dietro - e che non è il caso, in questa sede, di evocare -?
Non è forse questo stato di cose che rende la nostra scuola inadatta sia ai ragazzi più problematici che a quelli piu bravi e ci fa naufragare nella mediocrità?
Si tratta, come si vede, di questione ‘spessa’ perché incrocia problemi nodali. Tra i quali indicherei come prioritari, ma solo per cominciare un percorso, le difficoltà delle scuole
· a pensarsi come comunità di pratiche e di apprendimenti, che si alimenta di sviluppo professionale costante
· a considerare la valutazione (auto ed etero) e la rendicontazione sociale come strumenti di miglioramento continuo del servizio per tutti, dalle fasce più deboli ai più capaci e meritevoli,
· a praticare la personalizzazione dell’insegnamento, che è il terreno su cui soprattutto si gioca la partita più ardua e per molti versi strategica).
Ma a questo punto il discorso si fa particolarmente problematico. Non solo nel senso che ci vorrebbe una classe dirigente (politica, accademica, sindacale …) che conoscesse e capisse questi passaggi e volesse ‘spendersi’ su questi obiettivi. Ma anche nel senso che il mondo della scuola, che pure in questi anni ha vissuto sulla propria pelle la drammaticità di questo passaggio epocale, da una scuola di èlite ad una scuola di massa, si facesse protagonista, almeno nella sua parte più avveduta - assieme alle forze convergenti della università e della ricerca e del lavoro -, di una nuova stagione di rinnovamento.
Nell’attesa vigile di tempi migliori, speriamo almeno che il Ministro, in vista della prossima presentazione al Consiglio della proposta (ma che non sia un decreto, Ministro! Sarebbe assurdo su una materia come questa) si sintonizzi cone le preoccupazioni e le indicazioni emerse dal mondo della scuola. Alle quali forse non è estraneo.
Questo almeno ci piace pensare.