Meno tasse (universitarie) per tutti
Insomma abolire le tasse universitarie è di destra o di sinistra? Misura marginale o centrale? Per rispondere passiamo in rassegna qualche dato di fatto.
Francesco Sylos Labini
Il presidente del Senato leader di Liberi e Uguali Pietro Grasso ha proposto: “Aboliamo le tasse universitarie a misura costa 1,6 miliardi: è un decimo dei 16 miliardi che ci costa lo spreco di sussidi dannosi all’ambiente, secondo i dati del ministero. Avere un’università gratuita significa credere davvero nei giovani e rendere l’Italia più competitiva”. Secondo l’ex Ministro Vincenzo Visco di LeU “…da noi sono così basse che non è che abolendole succeda molto. È un segnale importante ma è chiaro che è un tema marginale”, mentre secondo il renziano Marattin “Quella che sembra una proposta di sinistra, è in realtà una proposta di destra.” Insomma abolire le tasse universitarie è di destra o di sinistra? Misura marginale o centrale? Per rispondere passiamo in rassegna qualche dato di fatto.
Punto 1: le tasse universitarie Italia (media 1500 euro/anno) sono le più alte in Europa dopo Regno Unito (9000 euro/anno) e Olanda (2000 euro/anno). In Germania e nei paesi scandinavi non ci sono tasse e in Francia ammontano a 200 euro/anno. Il modello zero-tasse per l’università è dunque relativamente comune in Europa e la proposta di azzeramento può scandalizzare solo chi non conosce le comparazioni internazionali.
Punto 2: In Italia le entrate degli atenei per tasse universitarie sono raddoppiate dal 2000: se nel 2000 rappresentavano il 16% del finanziamento statale (fondo di finanziamento ordinario) degli atenei, nel 2014 hanno raggiunto il 26%.
Punto 3: In Italia solo nove studenti su 100 ricevono una borsa di studio mentre in Spagna il 30%, in Francia il 39% per arrivare al 72% della Finlandia.
Punto 4: nel 2016, tra i 25 e 64enni, il 18% aveva una laurea mentre la media europea è del 33%. Tra i 25-34enni il 26% aveva una laurea mentre la media europea è del 40%.
Punto 5: Mentre in tutti i paesi Ocse si aumentavano gli investimenti in istruzione e ricerca negli anni della crisi, l’Italia ha tagliato 9 miliardi di euro ai bilanci di scuola e università. Secondo l’Ocse l’Italia, con il suo -17%, è la nazione che ha tagliato più di ogni altra la spesa pubblica destinata all’istruzione.
Punto 6 Se le tasse universitarie fossero finanziate interamente attraverso l’IRPEF (cioè una delle voci della fiscalità generale) sposterebbero le risorse dai “ricchi” ai “poveri”, e non viceversa come qualcuno sostiene.
Punto 7 In alcuni casi le critiche suggeriscono che così i ricchi dovrebbero pagare di più per i servizi, a partire dall’università, in quanto facendo leva esclusivamente sulla fiscalità generale i poveri finiscono per pagare l’università ai ricchi. In realtà anche qualora privo di fruizione diretta il contributo tramite la fiscalità generale è del tutto corretto e sensato: il concetto stesso di bene pubblico richiede che tutti contribuiscano all’istruzione, alla sicurezza o alla sanità pubblica anche quando non ne fruiscono direttamente, perché così facendo contribuiscono al benessere collettivo e si assicurano il proprio diritto a goderne.
Rendere l’istruzione universitaria tendenzialmente gratuita, iniziando con l’abbassare le tasse universitarie e facendole diventare più progressive con il reddito familiare è sicuramente una misura importante e di sinistra (con buona pace di Marattin), centrale per il ruolo di volano sociale che dovrebbe svolgere l’università (con buona pace di Visco) e che va nella direzione di dare più opportunità a tutti e invertire la rotta del decadimento culturale e tecnologico del paese: la gratuità dell’istruzione è un valore di civiltà poiché chi studia arricchisce la società ed è giusto che il costo sia a carico della fiscalità generale. Abbassare le tasse universitarie, le terze più alte d’Europa, nel paese con il minor numero di laureati per fascia età è dunque urgente; eliminarle per i redditi bassi è anche una misura giusta e di equità sociale; eliminarle per i redditi alti, ad aliquote fiscali invariate, è invece una misura che deve essere calibrata in maniera tale da non rivelarsi regressiva.
Dietro il problema delle tasse universitarie c’è un problema più generale riguardante la fiscalità. Come abbiamo scritto nel programma del Brancaccio
“Un’enorme quantità di ricchezza si è spostata, negli ultimi anni, dal basso verso l’alto. Luciano Gallino ne ha calcolato l’ammontare in 240 miliardi di euro. Nel 1973, quando venne istituita l’Irpef, erano previsti trentadue scaglioni, l’aliquota più bassa era fissata al 10%, quella più alta al 72%. Oggi gli scaglioni sono scesi a cinque; l’aliquota più bassa è salita al 23%, quella più alta è scesa al 43%. Si sono alzate le tasse ai poveri per abbassarle ai ricchi. Il risultato è stato l’impoverimento non solo degli strati più indigenti della popolazione, ma anche della classe media, sempre più “schiacciata” verso il basso. Ridurre le tasse indiscriminatamente è sbagliato: vanno ridotte a chi ne paga troppe; vanno aumentate a chi ne paga poche.”
Inoltre, per azzerare le tasse servono circa due miliardi, una cifra dello stesso ordine di quella necessaria per rimettere in carreggiata il sistema universitario dopo i tagli degli anni passati: basti pensare al problema dei precari, del reclutamento, del finanziamento della ricerca di base, delle borse di studio, ecc. Una forte riduzione delle tasse con un aumento della progressività è dunque possibile e auspicabile da subito ma la misura va formulata tenendo conto del quadro generale.
(Una versione più breve di questo articolo è apparsa su Left)