Meno precari, ma solo in religione
Il dato, occultato nella precedente gestione, emerge dal rapporto del ministero sul 2009/2010. É l'unica categoria passata tutta a tempo indeterminato
Mario D'Adamo
Nel 2009/2010 il numero dei precari si è ridotto solo tra i docenti di religione cattolica. Le ripetenze costano parecchio e un maggior tempo scuola non significa migliori risultati. I costi per alunno sono molto elevati, mentre risparmi si potrebbero conseguire migliorando efficacia didattica ed efficienza del sistema scolastico.
Sono aumentati i versamenti diretti delle famiglie alle scuole. I docenti non erano 795.342, come emerge dalla lettura delle statistiche del 12 ottobre scorso, ma 822.000. Il ministero mette a disposizione tutti i numeri completi, organicamente organizzati e illustrati, di docenti, studenti e istituzioni scolastiche, delle spese sostenute dallo stato e dalle famiglie con un rapporto, La scuola in cifre 2009 – 2010, reperibile sul sito del ministero dal 22 novembre scorso (https://www.istruzione.it/web/ministero/index_pubblicazioni_11), centocinquanta pagine di tabelle, osservazioni, spunti critici, focus. L'odierno rapporto aggiunge al totale dei docenti, diffuso il 12 ottobre, gli oltre 26.000 insegnanti di religione cattolica, che la volta scorsa (era la sitnesi offerta dal precendete ministro, Mariastella Gelmini) non comparivano né si chiariva che non erano considerati e perché. Lo stesso dicasi per gli anni precedenti a partire dal 2000/2001. Gli insegnanti di religione, l'unica categoria che è riuscita a ridurre il precariato, erano tutti precari nel 2000/2001, 22.900, per diventare 26.300 nel 2009/2010, oltre la metà dei quali con incarico a tempo indeterminato, il 53 per cento circa. Mentre i precari su posti di scuola normale e di sostegno tanti erano nel 2000/2001, 117mila, tanti sono rimasti nel 2009/2010. E si spiega: sono stati espletati concorsi per l'immissione in ruolo solo dei docenti di religione. I quali sono anche l'unica categoria di docenti, insieme con quelli di sostegno, che dal 2000/2001 è aumentata: quelli di sostegno del 44,2 per cento e del 25 per cento, rispettivamente, insegnanti a tempo indeterminato e determinato; mentre quelli di religione, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, sono aumentati del 15 per cento. Rispetto ai dati organizzativi, il numero delle istituzioni scolastiche autonome, che erano 12.687 nel 1998/99, sono scese a 10.452 nel 2009/2010. In dodici anni sono diminuite meno di quanto si prevede caleranno nel giro di un anno con l'applicazione degli ultimi criteri di dimensionamento stabiliti dalla legge di stabilità 2012. Un'altra questione affrontata nel capitolo risorse riguarda la spesa pubblica per l'istruzione. Nel 2007 si sono spesi in media per alunno 6.138 euro, più della media europea di 5.114. Nello stesso periodo sono aumentati i contributi delle famiglie alle scuole: dai 23,1 euro per studente nei circoli didattici ai 102,9 delle superiori. La spesa complessiva sostenuta nel 2009 da stato, regioni ed enti locali è stata di 54,6 miliardi, il 3,6 per cento del Pil. Allo stato tocca la fetta più grossa, 45,2 miliardi, 54 euro per studente. Il 91 per cento è costituito da spese di personale. Se risparmi si vogliono conseguire, questi possono derivare da una migliore organizzazione, flessibilità, efficienza organizzativa ed efficacia didattica e/o da un diverso rapporto studenti/insegnanti. Le statistiche fanno rilevare come ripetere un anno di secondaria faccia lievitare più del 6 per cento i costi di un percorso scolastico. Se si diminuisce il numero dei bocciati che in prima media è del 5,5 per cento e in prima superiore del 20,4, si possono conseguire risparmi elevati. Che aumenterebbero ancora se si alzasse il rapporto alunni/insegnanti. Ma il rapporto, piuttosto basso almeno fino al 2009/2010, è determinato da una serie di fattori concomitanti che è difficile aggredire tutti insieme: minor numero di alunni per classe; minore orario di lavoro dei docenti rispetto ad altri paesi; più tempo scuola degli studenti. Emerge infine che per una maggiore efficacia didattica non sembra necessario un maggior tempo scuola. Il rapporto mette in evidenza, infatti, che i migliori risultati sono stati conseguiti nei testi PISA del 2008 da studenti di paesi (Finlandia, Corea e Giappone) con minor tempo scuola. Se le statistiche, come dice il rapporto, devono servire come guida ai decisori di ultima istanza, chi ha orecchio per intendere intenda, e pare abbia inteso.
Tutti i dati del rapporto sui numeri della scuola, pubblicato dal ministro Francesco Profumo, sono fermi al 2009/2010. Le statistiche sul 2010/2011, secondo la vecchia tradizione ministeriale, dovrebbero già essere pronte.