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Mattino-Sud e legalità cominciamo dalla scuola

INTERVISTA "Sud e legalità cominciamo dalla scuola" L'infanzia a San Pasquale il Meridione delle vacanze le strategie contro il degrado secondo l'ex procuratore Titti Marrone Via San Pa...

01/05/2005
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Il Mattino

INTERVISTA
"Sud e legalità cominciamo dalla scuola"
L'infanzia a San Pasquale il Meridione delle vacanze le strategie contro il degrado secondo l'ex procuratore

Titti Marrone Via San Pasquale a Chiaia 62. Nel confortevole appartamento della famiglia Borrelli, nel quartiere preferito dalla borghesia napoletana, c'è un solo obbligo per il bambino Francesco Saverio e gli altri suoi tre fratelli: non fare chiasso, giocare, sì, ma senza scalmanarsi e rumoreggiare troppo. Perché, dietro la porta dello studio, "papà sta scrivendo le sentenze e non va disturbato". È il primo vivissimo ricordo dell'infanzia napoletana di Francesco Saverio Borrelli, da cui il magistrato fa partire il racconto di sé. Così ci consegna un autoritratto inedito. Di Napoli, dov'è nato nel 1930 e dove torna di rado, Francesco Saverio Borrelli conserva ricordi tenui ma nient'affatto approssimativi. "Sono il terzo di quattro figli, ma anche quello con la memoria più tenace, tant'è che a volte i miei fratelli maggiori chiedono a me conferma dei loro ricordi". E su Napoli com'è oggi, dove la legalità è messa a repentaglio in ogni sua sfera, il magistrato ha ben chiaro il filo principale da dipanare per ricostituire condizioni accettabili di cittadinanza: "Bisognerebbe cominciare dalla scuola, insegnando ai ragazzi quanto vantaggiosa e migliore possa essere la vita nel rispetto delle leggi e dei diritti reciproci". A Napoli ha vissuto fino all'età di quattro anni, per poi trasferirsi a Lecce e infine a Firenze: ritiene di aver conservato qualcosa del carattere napoletano? "Se devo dichiarare una mia appartenenza, mi sento più vicino a Firenze, dove ho studiato dalla seconda elementare alla laurea. Forse gli aspetti tipici della napoletanità sono stati come prosciugati da una certa sobrietà toscana. Però non mi fraintenda, non sono un napoletano rinnegato. Rimane in me una matrice napoletana di fondo, un atteggiamento leggermente scanzonato o disincantato verso il mondo. E anche se non sono predisposto positivamente verso quegli aspetti deteriori della napoletanità di cui scrive La Capria, come il voler essere simpatico a tutti i costi, mi accorgo di quanto forte sia anche in me il desiderio di risultare gradito". Come ricorda la prima parte dell'infanzia a Napoli? "Ne ho un'immagine di grande serenità e armonia. La famiglia di papà veniva da San Giorgio a Cremano e per parecchie generazioni hanno avuto dei terreni a Ponticelli. Noi andavamo in villeggiatura, come si usava dire allora, nella villetta di famiglia di San Giorgio, con un giardino e un piccolo frutteto alle spalle. Andavamo al mare al Bagno Nuovo di Portici con il tram numero 56. Eravamo in pochi allora, sulla spiaggia dalla sabbia nera. Si tornava al tramonto, con il tram numero 59". Come percepiva allora la figura e la professione di suo padre, grande magistrato di cui, quando andò in pensione, Montanelli scrisse: "Un giudice come lui non si rimpiazza"? "Ovviamente non posso dire di non esserne stato influenzato nella scelta della mia professione, che era stata poi la stessa anche per mio nonno. Fin da piccolo dicevo, storpiando il termine, di voler fare "il mastrigiato". Ma a onore dell'immagine di mio padre Manlio devo dire che in casa non si respirava aria di bigottismo legalistico. Papà parlava occasionalmente del lavoro, che era circondato da un'atmosfera di mistero. Allora i magistrati non avevano uffici, e lavoravano per di più a casa. Così da noi a San Pasquale arrivava ogni giorno un usciere in bici con cataste di documenti. Da quel momento in poi papà si chiudeva nello studio e noi bambini dovevamo passare davanti alla porta in punta di piedi". Se confronta la Napoli della sua infanzia con quella di ora la trova cambiata in peggio? "L'ultima volta sono tornato un anno fa, ma non posso dire di averne una conoscenza approfondita. So quel che leggo sui giornali, e neanche sempre perché a volte mi ferisce troppo la rappresentazione in cui prevalgono i morti ammazzati e l'illegalità. Ho l'impressione che alcuni aspetti della stessa Napoli povera, una volta rispettabili e anche gradevoli, si siano come corrotti, inaciditi, generando sottoprodotti negativi". "Può sopravvivere e non essere sovvertita una città in cui si fa quanto possibile per distruggere le leggi?", chiede Critone a Socrate. È una frase di un dialogo platonico che lei ha citato più volte: vuole applicarla a Napoli? "A quella citazione di Platone voglio aggiungerne un'altra: Cesare Garboli diceva che noi italiani per secoli siamo vissuti in antagonismo con chi ci governava, per lo più straniero, e che questo ha generato un'avversione per la legalità maggiore che altrove. Se questo vale per l'Italia, ancor di più si può riferire a Napoli, che sembra avere in spregio la legalità. Ora, nessuno può avere ricette o semplici soluzioni. Ma in ogni caso, per ricostituire il senso di cittadinanza non si può non cominciare dalla scuola. Occorre partire da qui per costruire una cultura civica. Poi vengono il ripensamento delle politiche urbanistiche, di assistenza, di distribuzione della popolazione sul territorio che eviti i quartieri ghetto". Si può davvero insegnare la legalità? "Sì, se si riesce a coinvolgere i giovani. Senza didascalismi, semplificando i discorsi, si deve loro far capire che, come in una partita di calcio, una città ha bisogno di regole. Come la circolazione stradale che s'inceppa senza semafori, e non conviene a nessuno. Certo, è difficile far penetrare questo nella testa di ragazzi che ricevono una pistola in regalo per la cresima. Ma dobbiamo riuscire anche a fare i conti con la spavalderia di certi giovani convinti che vince chi ha il pelo sullo stomaco. Si deve far capire loro che la camorra potrà anche dare loro guadagni facili, ma con la prospettiva di morire presto, e di morte violenta. Mentre rispettare le regole significa vivere meglio e di più". Far rispettare la giustizia a Napoli e dintorni è più difficile anche perché i problemi di tutto il Paese si complicano in un territorio ad alta densità criminale. Come uscirne? "Bisogna rinforzare la presenza della giustizia. L'efficienza della dimensione giudiziaria è messa a repentaglio nelle realtà elefantiache. Anni fa il Csm fece uno studio sulle dimensioni ottimali delle sedi giudiziarie: certo non sono quelle di Torre Annunziata, Santa Maria Capua Vetere o Nola. Forse allora bisognerebbe frazionare qui la presenza della giustizia e allo stesso tempo destinare più risorse. Senza dimenticare che i problemi economici amplificano sempre le difficoltà: se a Napoli c'è un licenziamento, o un qualsiasi contenzioso legato alla sfera del lavoro, le dimensioni non sono più riconducibili a problema ordinario. Diventano quelle di un autentico dramma".


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