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Mattino: Etica e Università. Come la febbre del brevetto frena la crescita

Chi è il padrone delle idee? Certamente chiunque esso sia non deve diventare l’ostacolo allo sviluppo della conoscenza.

02/05/2006
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Il Mattino

Guido Trombetti «From ”publish or perish” to ”patent and prosper”». È il titolo di un articolo apparso sulla prestigiosa rivista «Jbc» in occasione del suo centenario. Autore Howard Schachman. Biochimico insigne. Laureato honoris causa presso la Federico II. Pone un problema complesso. Il motto «publish or perish» (pubblica o muori) è noto ai ricercatori di tutto il mondo. In un sistema competitivo come quello statunitense, se non pubblichi (publish) rischi addirittura il posto di lavoro (perish). Niente pubblicazioni, niente prestigio, niente fondi. Quindi niente stipendio. Le pubblicazioni possono essere inquinate dalla fretta. In alcuni casi, per fortuna rari, si arriva a pubblicare risultati discutibili. Talvolta imprecisi. Spesso corretti ma di scarsa utilità. Per evitare il rischio dell’insuccesso molti ricercatori affrontano problemi facili. Il sistema incoraggia dunque una ricerca di «complemento». Che al più arricchisce conoscenze già acquisite. Ma non innova. È ragionevole ipotizzare una organizzazione perfetta in cui i ricercatori possano lavorare senza scadenze e verifiche? Purtroppo l’esperienza suggerisce di no. Nessuna società si può permettere il lusso dell’ozio. O di far ricerca sulla pietra filosofale. Il problema è delicato. La qualità della ricerca va valutata. In itinere. Ed ex post. Ma è difficile con parametri quantitativi. Non si tratta di metter su un meccanismo oppressivo. Che stritoli fantasia e vita quotidiana del ricercatore. Bensì di scegliere una via intermedia tra il «pubblichi o muori» e il «pubblichi o non pubblichi, nulla cambia». Secondo Schachman oggi è in agguato una minaccia più grave del «publish or perish». Ed è il «patent and prosper», brevetta e prospera. Il problema nasce negli anni ’60 e ’70. Grandi scoperte nel campo della biochimica. Pochi principi tradotti in farmaci e terapie. Ciò a causa dello scarso interesse dei privati. Nessuno investe senza la garanzia dell’esclusività assicurata dai brevetti. «Ciò che è disponibile per tutti non è disponibile per nessuno» la tesi di un celebre articolo di Garrett Hardin degli anni ’60. Per ovviare al problema leggi ad hoc furono emanate negli Usa. Le Università poterono brevettare i risultati della ricerca. E trarne profitto. Ciò assicurò un’accelerazione alla ricerca biomedica. Almeno all’inizio. Vent’anni dopo (e non c’entra Dumas) una conseguenza inattesa. Lo scambio di dati scientifici tra ricercatori di Atenei diversi è diventato complicatissimo. Il ricercatore viene catturato nella ragnatela delle complesse trattative tra gli «Uffici per il trasferimento tecnologico». Derek Bok nel suo libro Università sul mercato afferma: «Purtroppo, con il loro zelo di incrementare il reddito delle università, i funzionari addetti al trasferimento tecnologico... hanno rallentato il progresso invece di promuoverlo». Essi intralciano lo scambio di conoscenze. Cioè la linfa vitale del progresso scientifico. Si brevetta tutto e d’urgenza. Nel 2004 in Usa le spese per commercializzare i brevetti sono state di 189 milioni di dollari. Sono nate 459 società per lo sfruttamento dei risultati della ricerca. E migliaia di brevetti per lo più infruttuosi. Da «publish or perish» a «patent and prosper». Da tanti risultati inutili a tanti brevetti inutili. Alla lunga il «patent and prosper» produce più danni che vantaggi? Secondo alcuni: «Una proliferazione dei diritti di proprietà a monte potrebbe soffocare innovazioni a valle in grado di salvare delle vite...». Molti cominciano a temere che una politica estrema ed ottusa dei brevetti si ritorca contro l’interesse pubblico. Il presidente dello Amherst College Anthony W. Marx si chiede: «Le Università non possono insegnare efficacemente etica se sono in prima persona prive di etica; né possono sperare di insegnare che nella vita ci sia altro oltre al far quattrini se non conoscono limiti nella loro ricerca di fondi». Il problema non è di semplice soluzione. Solo un bambino penserebbe di risolverlo abolendo i brevetti. Occorre però non rinunciare ai valori di riferimento. Chi è il padrone delle idee? Certamente chiunque esso sia non deve diventare l’ostacolo allo sviluppo della conoscenza.


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