Matematica e scienze, cattive notizie
di Benedetto Vertecchi
È stato diffuso da pochi giorni il rapporto sul ciclo di rilevazioni Iea-Timss che, nel 2015, ha aggiornato il quadro dei livelli di competenza in matematica e scienze degli allievi di un congruo numero di paesi industrializzati. La responsabilità della rilevazione ricade su una organizzazione internazionale di indubbio prestigio, che vanta la priorità nella conduzione di indagini comparative (l’acronimo IEA sta per International Association for the Evaluation of Educational Achievement). Lo specifico progetto entro il quale la rilevazione è avvenuta (TIMSS sta per Trends in International Mathematics and Science Study) da oltre vent’anni pone a confronto i successi o le difficoltà incontrati nell’ambito dei sistemi scolastici dei paesi partecipanti. In definitiva, stiamo riferendoci a dati molto attendibili: se da tali dati derivano indicazioni negative, ci sono tutte le ragioni per preoccuparsi. Per quel che riguarda l’Italia, la situazione che emerge non è troppo diversa da quella che si era avuta nel caso di rilevazioni precedenti: le differenze sono di un ulteriore peggioramento delle posizioni che si riferiscono alle nostre scuole in relazione a quelle di quasi tutti gli altri paesi. È fin troppo evidente che i cambiamenti introdotti sia nell’organizzazione degli studi, sia nelle pratiche didattiche non solo non sono servite a migliorare i livelli di apprendimento degli allievi, ma sembrano aver prodotto l’effetto contrario. I nuovi dati dovrebbero, quanto meno, segnalare la necessità di una riflessione nel merito delle cosiddette riforme, che in tempi recenti hanno inseguito le chimere di un cambiamento che non ci si preoccupava mai di spiegare con argomenti solidamente fondati. Non basta continuare a ripetere il mantra del cambiamento, operando una sineddoche che limita il significato della parola alla sola accezione positiva. Nell’educazione, come in ogni altro settore, cambiare comporta inevitabilmente una crescita del rischio collegato al raggiungimento degli intenti che si vorrebbero perseguire. Non basta dunque ripetere che occorre cambiare. Bisogna spiegare perché, che cosa, come e quando questo cambiamento si voglia operare, in che modo si verificheranno le conseguenze delle modifiche introdotte, quando si potranno valutare positivamente i risultati che nelle nuove condizioni sia stato possibile conseguire. Non credo di dover dimostrare che nelle nostre scuole, più che constatare la razionalità dei cambiamenti, abbiamo dovuto assistere a modifiche scomposte, a una sorta di ballo di San Vito che ha travolto ciò che c’era senza essere in grado di spingere in direzioni più soddisfacenti. Anche questa osservazione, tuttavia, rischia di essere inadeguata a cogliere la gravità della situazione in cui versa il nostro sistema educativo. È una situazione a determinare la quale concorrono sia le difficoltà proprie dell’organizzazione scolastica e i limiti delle pratiche didattiche, sia un quadro della cultura sociale sempre meno adatto a creare le interazioni positive che sono alla base del progresso nell’apprendimento di bambini e ragazzi. A costo di essere schematico, dirò che per avere migliori risultati in matematica e in scienze non basta intervenire sul modo in cui i relativi insegnamenti sono praticati nelle scuole, ma bisogna qualificare la comunicazione sociale, rimuovere le tante scorie che inquinano l’uso corretto della lingua (intendo della lingua italiana), promuovere la conduzione di esperienze che sollecitino i sensi, il pensiero e la capacità di agire nella realtà (fisica, non virtuale).