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Manovra, Sinopoli (Flc-Cgil): «Se l’aumento ai docenti è di 15-20 euro, nessuna trattativa sul contratto»

Intervista a Francesco Sinopoli, segretario della Flc-Cgil: "Trovo incredibile che per finanziare l’università si ricorra alla «Sugar Tax». Scuola e università non sono al centro dei pensieri della maggioranza. Sono necessari fondi strutturali per istruzione e ricerca"

20/11/2018
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il manifesto

Roberto Ciccarelli

Francesco Sinopoli, segretario Flc-Cgil, Di Maio aveva promesso ai docenti «stipendi europei». In legge di bilancio gli importi sono inferiori alla metà degli 85 euro ricevuti del contratto scuola firmato con la precedente ministra Valeria Fedeli, criticato anche dai Cinque Stelle. Accetterete di trattare?
Con queste risorse non ci sono le condizioni per aprire la trattativa. Si parla 1,7 miliardi di euro, comprensivi della perequazione dei salari più bassi, l’indennità per la vacanza contrattuale e il riordino delle carriere delle forze armate per tutto il lavoro pubblico. In queste condizioni arriviamo a 15-20 euro lordi in più al mese. Ci vogliono almeno due miliardi in più all’anno solo per l’istruzione e la ricerca.

Quanto tempo ci vorrà per arrivare all’obiettivo indicato da Di Maio?
Diverse generazioni. Non ci aspettavamo che, di colpo, il governo mettesse le risorse necessarie secondo i nostri calcoli: 6,9 miliardi per gli insegnanti e 1,2 per il personale Ata, senza contare l’università e le accademie, ma senz’altro risorse più serie. Questa legge di bilancio, giustamente a mio parere, aumenta il deficit. Tuttavia avrebbe dovuto mettere al centro a sostegno della domanda aggregata l’aumento dei salari nel pubblico impiego. Lo avevano scritto nella aggiornamento al Def.

In compenso Di Maio ha parlato di una tassa sui petrolieri, M5S e il ministro Bussetti di una «sugar tax». Basteranno per recuperare i tagli degli ultimi dieci anni?
Trovo incredibile che per finanziare l’università si ricorra a tasse aggiuntive, tra l’altro incerte e di dubbia efficacia. Dovrebbe essere la priorità di un paese finanziare l’istruzione e la ricerca.

E perché non lo fanno?
Perché nelle leggi di bilancio si vedono le priorità dei governi. Scuola e università non sono al centro dei pensieri di questa maggioranza, mi sembra oggettivo. È chiaro che se devi usare il deficit per le pensioni, uno sgravio che chiamano «flat tax» non potrai pensare ad altro.

C’è anche un cosiddetto «reddito di cittadinanza»…
Non è un «reddito di cittadinanza», è una misura di sostegno alla povertà più alta della precedente. Non è in contraddizione con gli investimenti nelle infrastrutture e nelle risorse di chi fa un lavoro della conoscenza. Tra l’altro un intervento a sostegno delle persone in difficoltà può anche avvenire rendendo la scuola gratuita, cosa che oggi non è, basta pensare a quanto costano mense e libri nella scuola dell’obbligo. Se i governi precedenti avevano messo risorse enormi su cose sbagliate, come il Tecnopolo di Milano, invece di rifinanziare con 1,5 miliardi il fondo degli atenei, quello attuale non fa nemmeno questo. Erano in molti a attendersi, dopo la campagna elettorale, ci fossero delle risposte concrete. Non ci sono. L’unica idea che rischia di emergere è quella della regionalizzazione dell’istruzione che aumenta le diseguaglianze tra Nord e Sud. Siamo assolutamente contrari a questa ipotesi.

Cosa pensa della proposta di Bussetti: addio ai percorsi di formazione per l’accesso all’insegnamento, si torna ai concorsi abilitanti?
Per ora la situazione è pasticciata. Rispetto alla scelta in sé abbiamo detto che il Fit era troppo lungo, ma questa nuova riforma cancella la fase transitoria per i docenti con tre anni di servizio con una riserva del 10%. Ci sono misure rigide come il blocco dei cinque anni sulla scuola, il docente non si può muovere dalla sede di assegnazione e può concorrere per una sola classe di concorso. Sembra che l’obiettivo sia più che altro realizzare risparmi.

Mille assunzioni di ricercatori sono sufficienti? 
Bisogna stabilizzare tutti i precari e pensare a un reclutamento organico e sistematico come è stato ribadito dall’assemblea nazionale dei ricercatori precari sabato scorso alla Sapienza. 5mila posti per quattro anni, per un totale di 20 mila e si ritornerebbe al livello precedente ai tagli. Bisogna accettare un dato di fatto: i precari dell’università sono come quelli degli enti di ricerca dove, dopo anni di lotte, inizieranno 1200 stabilizzazioni al Cnr. Negli enti di ricerca le risorse ci sono per stabilizzare anche i 2 mila che non hanno i requisiti della legge Madia, ma non si spendono. E non basta stabilizzare i precari esistenti per rispondere alle esigenze reali del settore.


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