Manovra, per la scuola solo tagli
Con la scusa del calo degli alunni verranno chiusi in due anni 700 istituti. Rapezzi, Flc Cgil: investire sull'istruzione per fermare l'emorragia demografica
Stefano Iucci
Avete presente l’Abruzzo? Quattro parchi naturali nazionali e tanta montagna. Spesso impervia. Ebbene, con le nuove norme sul dimensionamento delle scuole contenute nella legge di Bilancio, solo nell’aquilano almeno 10 istituti sarebbero soppressi. La denuncia è arrivata nei giorni scorsi sulle colonne de Il Centro e a farla è stata la segretaria generale della Flc Cgil locale, Miriam Anna del Biondo. Se così sarà, ragazze e ragazzi saranno costretti ogni giorno a frequentare plessi distanti e spesso difficili da raggiungere per la conformazione del territorio: “Attualmente – attacca la sindacalista – 29 istituti scolastici su 47 non raggiungono neanche lontanamente i 900 alunni e molti altri sopravvivono perché in deroga per posizione geografica”.
Anche per questo Cgil e Uil hanno deciso una mobilitazione per cambiare una manovra 2023 sbagliata e in cui i tagli investono pesantemente anche la scuola e la ricerca (qui le richieste della Flc Cgil). Pochi articoli, ma “buoni”, si fa per dire. Collettiva ha ampiamente documentato lo scempio che si prepara rispetto a un mondo, quello dell’istruzione che – dopo tutta la retorica sulla sua importanza in pandemia – come ormai accade da tempo non ha raccolto molto: investimenti minimi (150 milioni di euro da destinare al personale scolastico e il ripristino del taglio di 126 milioni di euro per il funzionamento scolastico) e per il resto tagli e, una vera e propria beffa, 70 milioni alle scuole private.
700 scuole in meno
Il caso abruzzese – ma è naturalmente solo un esempio: succederà più o meno lo stesso in tutto il Paese, con maggiori ricadute nelle zone più fragili – è reso possibile dall’articolo 99 della legge di Bilancio il quale prevede una nuova ondata di accorpamenti tra istituti scolastici che, attacca la Flc Cgil, “potrà portare alla scomparsa, già nei prossimi due anni, di oltre 700 unità scolastiche”. A questo numero si arriva innalzando gli attuali parametri minimi per la costituzione delle autonomie scolastiche che passano da 600 a 900-1.000 alunni. Una riduzione che proiettata al 2031-2032 significa il passaggio da 8.136 a 6.885 istituti. Come ha commentato il segretario generale della Flc Cgil, Francesco Sinopoli, l’operazione “si configura nei fatti come un vero e proprio taglio che ancora una volta andrà a colpire le Regioni e i territori più deboli. Invece di potenziarle e sostenerle le affossano, senza investimenti e con una riduzione delle risorse”. A questo si somma una vera e proprio beffa. Agli istituti privati – nonostante coprano il 10% dell'offerta formativa – vanno come detto 70 milioni di euro.
Da ultimo, ma non per importanza, silenzio assoluto sulle risorse del nuovo contratto 2022-2024: “Si pensa così – osserva il sindacato – di proseguire con l'abitudine di stanziare le risorse a triennio scaduto, sicura modalità per indebolire ulteriormente il potere di acquisto del personale del comparto”. E questo nonostante il buon segnale dato nelle settimane scorse sul rinnovo del contratto 2019-22, con gli arretrati che a dicembre entreranno in busta paga.
Quello che manca
Il problema non è solo quello che c’è, ma anche quello che non c’è. Il dimensionamento delle scuole viene giustificato con il calo demografico, ma in realtà si potrebbe sfruttare l’occasione per ridurre le classi pollaio, anziché tagliare, cambiando ovviamente la normativa che regola la formazione delle classi.
Non solo. Come spiega il segretario nazionale della Flc Cgil Alessandro Rapezzi, “il governo certifica oltre un milione in meno di studenti in 10 anni, e allora proprio per questo dovresti investire nella scuola, nell'istruzione di qualità che è una delle leve importanti per agire sul calo demografico”. Quindi, altro che riduzione degli istituti, al contrario, osserva il sindacalista, “bisogna mettere più risorse per gli organici, per la stabilizzazione del personale e per aumentare il tempo scuola per tutti gli ordini, avendo come orizzonte l’estensione dell'obbligo 3 a 18 anni”.
Naturalmente non si può fare tutto subito, “serve una programmazione che però questa Finanziaria non ha iniziato a fare, così come le precedenti, del resto. E il Pnrr non basta, perché dura tre o quattro anni, mentre noi abbiamo bisogno di aumentare in modo strutturale la percentuale sul Pil degli investimenti in istruzione e formazione”.
Perché alla fine la questione è sempre la stessa: investire risorse e investirle bene: questo, al di là delle chiacchiere, significa considerare l’istruzione una priorità nazionale. E anche per questo lavoratrici e lavoratori protestano questa settimana in tutto il Paese.