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Manifesto-Università, nessun passato da rimpiangere

SAPERI IN MOVIMENTO Università, nessun passato da rimpiangere AUGUSTO ILLUMINATI Non vengo qui a fare l'elogio del movimento. I giornalisti sono gente d'onore e, se hanno preferito fino al corte...

02/11/2005
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il manifesto

SAPERI IN MOVIMENTO
Università, nessun passato da rimpiangere
AUGUSTO ILLUMINATI
Non vengo qui a fare l'elogio del movimento. I giornalisti sono gente d'onore e, se hanno preferito fino al corteo del 25 ottobre (manifesto compreso), occuparsi di Rockpolitik, censura dei comici e congresso socialista, avranno avuto le loro buone ragioni, stante il carattere minoritario del movimento di ricercatori e studenti e le poche sedi occupate. Ah, dimenticavo, c'era pure l'influenza aviaria e - si sa - ci piacciono li polli e pure le galline, che a differenza dei movimenti non hanno neppure le spine. Come ai bei tempi: hanno licenziato Langlois dalla Cinémathèque (Parigi, primavera 1968)? E che notizia è? Certo, occorrerebbe un altro fiuto, una meteorologia degli indizi di burrasca - un tempo si parlava di weathermen... Anche i politici (di sinistra, beninteso) sono uomini d'onore. Se hanno motivi privati di risentimento verso i movimenti, non lo so. Si sono strenuamente battuti contro una proporzionale truffa, di cui segretamente molti erano invaghiti. Stanno contrastando l'abolizione delle preferenze, che espropria gli elettori dal diritto di scelta e consegna le minoranze interne all'arbitrio delle segreterie (avverto i lamenti di D'Alema e Bertinotti...). Hanno prima snobbato, poi esaltato fuori misura le primarie, scoprendovi una nuova pratica della partecipazione e della rappresentanza. Hanno discettato se fare o meno prigionieri e come trattare i riciclati - un importante contributo al pluralismo culturale. Perché distrarsi con movimenti minoritari e aggrappati al vecchio: diciamolo pure, un po' corporativi come gli studenti o i cortei della Fiom? Quale vantaggio elettorale potrebbe mai venire da occupazioni di aule e stazioni ferroviarie, che share raggiungerebbero spinosi argomenti come i Cpt, gli zingari e i lavavetri? In quella logica è del tutto comprensibile, ma è la logica del giorno per giorno, di quella che Rancière chiama "polizia" (police, cioè l'amministrazione del quotidiano, istituzioni e governamentalità), ben distinta dalla sfera dell'innovazione politica. A questo livello i movimenti sono minoritari ma seminali, aprono uno spiraglio sul futuro, su una nuova composizione del lavoro che comincia a soggettivarsi e ad agire strategicamente. Trovano perfino corrispondenze (i metalmeccanici) e solidarietà impreviste. E' riduttivo leggere la manifestazione del 25 ottobre come una battaglia contro la legge Moratti, peggio ancora come il coro acclamante all'esterno di Montecitorio quanto la brava opposizione faceva dentro l'aula per contrastarla. In realtà la lotta nella sua articolazione locale destinata a crescere, investe tutto il complesso delle leggi Zecchino-Berlinguer e Moratti, il taglio della spesa pubblica per la scuola e l'università e i meccanismi del 3+2 e dintorni, comprese le complicità di una parte, per fortuna oggi resipiscente, del mondo accademico. Per tali motivi l'approvazione parlamentare non ferma la lotta, ma inaugura una guerriglia di lungo periodo che si sviluppa su diversi piani: l'autoriforma dell'università, che concerne i percorsi e la riduzione della frammentazione degli insegnamenti e sulla quale si registrano interessanti convergenze con le stesse autorità accademiche, l'autogestione della didattica, che è momento maggiormente interno al movimento degli studenti, il collegamento con la problematica più generale del precariato, ecc.

E' del tutto illusorio aspettarsi da un'eventuale nuova maggioranza l'abrogazione pura e semplice delle leggi Moratti su scuola secondaria e università. Ci sono difficoltà tecniche, stante la proiezione delle riforme su varie annualità e cicli, ci saranno difficoltà politiche per i contrasti interni all'Unione, ci sono addirittura proposte di area riformista peggiori della Moratti (Modica e Nicola Rossi). Soprattutto, a differenza delle leggi ad personam, non c'è un "buon" passato a cui tornare cancellando le brutte disposizioni berlusconiane. Tale non è la Zecchino-Berlinguer, tale non era l'assetto tardo-fordista dell'università dello scorso secolo. La battaglia sarà dunque molto dura, trasversale e in sostanza analoga a quella sulla legge 30, perché occorre misurarsi con le strutture postfordiste, non semplicemente restaurare lo Statuto dei lavoratori o l'ordinamento quadriennale. Per questo gli studenti fanno benissimo a continuare l'occupazione.

Azzardiamo infine una considerazione aggiuntiva, una registrazione degli aspetti più superficialmente esperibili del movimento. Nessun elogio spensierato, neppure un nostalgico confronto con il passato - anche se mi è tornata in mente qualche sindacalista contestato in piazza - piuttosto la constatazione dell'entrata in scena di una soggettività politica pubblica, di una moltitudine screziata, fragile e inestinguibile, che si autorappresenta come biopolitica - ma preferisco non coprire con una parola un difetto di concettualizzazione. Qualcosa di più e di diverso da una borghesia riflessiva o da un'opinione pubblica democratica, che al massimo ne è la ricaduta e il brodo di coltura. Una moltitudine "illegale" rispetto a una costituzione materiale che rende invisibile e taglieggiabile a piacere il precario e l'immigrato (questa è la vera revisione eversiva della Costituzione!), che privatizza i beni comuni materiali e immateriali (acqua o ciberspazio), dunque un movimento che sta fuori da una democrazia neutralizzante, quale non è certo modificata dal ricorso alle primarie, e spinge a un allargamento della democrazia ridisegnandone i confini e includendo nuovi settori. Stiamo ancora sul piano dell'anticipazione simbolica, ma non cominciano così, con un sussurro, tutte le cose grandi?


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