Manifesto: Università, dall'agonia al collasso
Sembra proprio che una delle prime «riforme» (le virgolette sono d'obbligo) varate da questo governo sarà quella dell'università
Enzo Scandurra
Sembra proprio che una delle prime «riforme» (le virgolette sono d'obbligo) varate da questo governo sarà quella dell'università. Prima di entrare nel suo merito, è necessario fare qualche riflessione sui provvedimenti che la precedono e che hanno già prodotto guasti profondi.
Il 25 giugno 2008 è approvato il DL n°112 che, tra gli altri effetti, ha ricadute pesanti sulle attività didattiche e di ricerca di tutti gli atenei italiani. Esso è approvato in via definitiva il 6 agosto e il ventuno diventa legge: la Legge 133. Tra i punti salienti della legge c'è il taglio del Fondo di funzionamento ordinario (Ffo), negli anni che vanno dal 2009 al 2013, per un totale di 1500 milioni di euro (circa 300 milioni per anno), pari a circa il 30% dell'intero fondo assegnato alle università. Ora se voi pensate a una qualsiasi azienda che subisce una riduzione del 30% delle entrate, bé difficile immaginare come possa continuare a funzionare. In più tutto questo per un sistema già profondamente sotto finanziato.
Dai dati Ocse emerge, infatti, una realtà già (allo stato attuale) di per sé drammatica per il nostro paese. La spesa pubblica annuale per studente è di 9.400 dollari per l'Inghilterra, 10.200 per la Germania, 9.300 per la Francia e di soli 5.400 per l'Italia e questo prima dei tagli annunciati. E' facile immaginare le conseguenze di questi tagli: riduzione dei servizi agli studenti, riduzione delle infrastrutture (laboratori, aule, biblioteche, ecc.), peggioramento della didattica e della ricerca.
La fuga degli studenti
Oltre alla fuga dei cervelli è presumibile che ci sarà ora anche un'analoga fuga degli studenti (all'estero o verso gli atenei privati). Non basta: il DL 112 blocca, di fatto, il turn-over (il ricambio fisiologico dei docenti). Per il 2009 è previsto un ricambio di uno su 10 (per ogni dieci docenti che vanno in pensione, si bandisce un solo posto per un nuovo docente), 1 su cinque per il 2010 e 2011 e 1 su due per il 2012. Provate a fare qualche conto e vi accorgerete che sarà in sostanza impossibile mantenere lo svolgimento dei corsi necessari per preparare un allievo.
Sempre dai dati Ocse emerge che il rapporto tra numero di studenti e numero di docenti è di 12,4 in Germania, 17 in Francia, 16,4 in Inghilterra e di ben 20,4 in Italia. Assumendo costante il flusso di studenti, se il numero di docenti/ricercatori si dimezza allora ciascuno di questi dovrà raddoppiare il tempo dedicato alla didattica. Conclusioni: non ci sarà più tempo per l'attività di ricerca. Prima ancora, dunque, dell'approvazione della «Gelmini», l'università è già in condizioni di agonia profonda.
Che fine fanno i ricercatori?
E adesso veniamo a ciò che sta accadendo. Circa il 30% dell'attività didattica che si svolge nelle università italiane, è fatta dai ricercatori che, attenzione, non sono dovuti per legge a svolgerla essendo il loro compito specifico quello di fare didattica. La «Gelmini» (se sarà approvata) introduce la nuova figura del ricercatore a tempo determinato. Costoro, al termine del loro incarico, se saranno giudicati bravi entreranno nelle università, altrimenti no. E quelli che ora sono già ricercatori (a tempo indeterminato) e che hanno in questi anni svolto quel 30% di didattica? Per loro è previsto il ruolo a esaurimento. Fino ad ora ho parlato solo di uno degli aspetti distruttivi della cosiddetta riforma. Ce ne sono molti altri.
Tra caos e tagli
Il disegno di legge Gelmini è composto di 170 norme, molte delle quali conferiscono deleghe al governo per scrivere altre norme. È presumibile che, alla fine, si comporrà di un testo che potrebbe arrivare a 500 norme e centinaia di regolamenti. Nel suo intervento alla Commissione Cultura della Camera (22/9/2010), Walter Tocci ha sostenuto che «i professori invece di fare ricerca e didattica passeranno il tempo a scrivere regolamenti e a destreggiarsi nel caos amministrativo che deriverà dall'improvvisa riscrittura di tutti gli ordinamenti. D'altronde - aggiunge Tocci - non avranno altre cose da fare a causa dei tagli ai finanziamenti».
Ci sarebbero inoltre da fare altre considerazioni severe su quell'aspetto del disegno di legge Gelmini che invece viene, dai più (compreso Rutelli) preso come modello di innovazione: la valutazione. Non c'è lo spazio per trattare adeguatamente il tema. Per riprendere le parole di Tocci, si può dire che «con questa nuova legge gli atenei saranno sempre più simili tra di loro: l'alibi della norma toglierà responsabilità al merito delle scelte; la selva burocratica ostacolerà i veri innovatori Le leggi che promettono la virtù, al contrario, finiscono solo per produrre burocrazia».
Il modello «innovativo»
Stupisce che opinion leader, professori universitari e tanta stampa «libera» salutino l'approvazione di questa legge come innovatrice. Tocci l'ha definita un capolavoro del gattopardismo italiano. La Crui (Conferenza dei Rettori) abbassa la testa (magari in cambio di qualche spicciolo), le burocrazie accademiche esultano e anche i Rettori che vedono aumentare il loro potere già enorme. E il capro espiatorio? Appunto, i ricercatori di ruolo, l'anello più debole, il nemico da abbattere. Adesso è chiaro dove a cosa mirava la campagna denigratoria contro i mangiapane a tradimento che vivono nelle università.
Tuttavia la protesta cresce. I Presidi sono costretti a dichiarare che così non possono iniziare l'anno accademico; gli studenti hanno capito (osservano concretamente) che si abbassa la qualità dell'insegnamento; aumenta il degrado delle strutture e si riducono i servizi loro offerti. La macchina propagandistica della Gelmini (che usa parole inglesi per camuffare misfatti italiani) e del Governo viene smascherata, l'annunciato dibattito sulla Legge, previsto per il 5 ottobre, viene fatto slittare al 14 e il 16 ci sarà lo sciopero generale.
Insomma il peggio, nelle nostre università, è già avvenuto, il malato è in coma; a Gelmini il compito di staccare la spina, a meno che però...