Manifesto: Una scuola di massa e di qualità è possibile
La scuola italiana ha certamente molti problemi, ma non li si risolve guardando al passato, a una scuola selettiva e classista, spesso seria solo nei ricordi, così come sembra emergere dalle reazioni al recente articolo di Luigi Berlinguer.
Walter Maraschini
Mauro Palma
«La mattina del giorno 12 corrente, mentre il professor Giani saliva in cattedra per fare la prima lezione al secondo corso liceale, il piano della cattedra sotto i suoi piedi cominciò a schioppettare e ad ardere, sì che n'ebbe i calzoni giù in basso abbronzati, e indignato di tanto insulto, si ritrasse dalla scuola». Non c'era ancora YouTube a diffondere la scena: era il 1875, ma l'indignazione e l'ironia su marginali episodi della vita nelle aule era anche allora facile. Del resto, negli atti dello stesso liceo, tuttora esistente e prestigioso, si legge anche che «ora la gioventù è, ognuno lo sa, inchinevole a seguire più le seduzioni della natura e del sentimento che i dettami di una retta ragione e di una legge che impone sacrifici». E qui sembra di essere proiettati nell'oggi, nelle lamentele di quegli opinionisti che rimpiangono la scuola dei bei tempi andati: oggi, come ieri, i giovani vengono descritti con connotazioni di ignoranza e indifferenza verso la cultura loro trasmessa.
La scuola italiana ha certamente molti problemi, ma non li si risolve guardando al passato, a una scuola selettiva e classista, spesso seria solo nei ricordi, così come sembra emergere dalle reazioni al recente articolo di Luigi Berlinguer. In realtà, l'articolo pone un problema ineludibile per chi voglia una scuola di massa, orientata alla costruzione di una cittadinanza consapevole, istruita e in grado di formarsi opinioni documentate sulle grandi questioni, quali per esempio i temi scientifici e economici che riguardano la vita delle persone. Una scuola cioè che produca un sapere utile, una rete di conoscenze e competenze su cui costruirne altre nella vita adulta.
È possibile «conciliare equità socio-culturale e qualità»? Questa è, appunto, la domanda centrale, a cui si aggiunge quella conseguente: come costruirla? Vedere quantità e qualità come grandezze inversamente proporzionali non aiuta alla soluzione del quesito, non solo perché riproietta verso un habitus selettivo, e di fatto classista, ma anche perché non raggiunge l'obiettivo di formare cittadini - non solo élite - in grado di districarsi all'interno dei flussi di informazioni in cui sono oggi immersi, di elaborare criteri autonomi di giudizio, di essere soggetti nella sfera pubblica.
Costruire una scuola di massa di qualità è obiettivo alto, ma non impossibile se si affrontano contemporaneamente e con pari forza più aspetti spesso tenuti divaricati: i contenuti dell'insegnamento/apprendimento, le forme che tale processo assume oggi, cioè il fare scuola concreto, i soggetti coinvolti e i loro bisogni, le strutture in cui essi sono collocati.
La scuola italiana è ancora fondamentalmente una scuola fatta di lezioni ex cathedra, in cui - in un'epoca in cui gli studenti hanno a disposizione informazione e mezzi produttivi e espressivi di vario genere - la ricerca individuale o collettiva, il problem solving, i laboratori e il senso di ciò che viene studiato sono largamente assenti.
La cultura, però, non è erudizione, ma possesso di strumenti che mettano in grado di comprendere i processi reali: a questo criterio non sfugge l'analisi impietosa, per esempio, di molta parte dell'attuale formazione matematica per la quale, nonostante il cospicuo numero di ore di insegnamento lungo gli anni, si registra un allarmante analfabetismo in molti adulti, «colti» ma non in grado di districarsi nel semplice uso di percentuali. Un sapere utile, non declinato come mero funzionalismo per il mercato del lavoro, può essere costruito solo all'interno di un ambiente ricco di opportunità espressive, di elaborazioni personali, di esperienze attive di soluzione di problemi reali. In sintesi, in una sorta di moderna bottega artigiana in cui le personali inclinazioni vengono potenziate e non appiattite nella dimensione dell'ascolto. Il tema del cosa insegnare non è quindi scindibile da quello del come insegnare, se ci si vuole riferire non a un astratto concetto di cultura, ma alle sue determinazioni essenziali di soddisfazione e autonomia del singolo nel suo rapporto con la collettività. Proprio per tale rapporto, del resto, l'istruzione è inclusa nel paniere dei diritti dell'individuo.
La costruzione di assi di pensiero e indicazioni sulle politiche dell'istruzione non può, quindi, saltare la riflessione sul nesso tra le finalità della scuola, i suoi contenuti e i suoi metodi. Ma neppure può eludere le relazioni tra questo progetto, la capacità di articolarlo localmente nell'ambito dell'autonomia delle scuole e la questione della valutazione del sistema nel suo complesso e di chi in essa opera.
Il necessario passaggio dei docenti da trasmettitori di scelte fatte a alto livello a quello di professionisti in grado di elaborare un progetto affinché siano acquisite conoscenze e competenze fondamentali non è semplice. Presenta un doppio rischio: che non si sappia ritrovare un ruolo in mancanza di indicazioni prescrittive oppure che lo si trovi in uno nuovo e incongruo, quale generico inventore di microprogettualità indecifrabili, difficilmente riconducili alla funzione della scuola. Rischi, questi, da non sottovalutare: visitando i siti delle scuole è più semplice rintracciare le molte attività extrascolastiche proposte piuttosto che leggere quale sia l'effettivo progetto locale del fare scuola, di ciò che a scuola si vuole fare e si fa. Proprio per questo, più si libera la scuola da un retaggio di mera riproduzione, più cresce la necessità di forme condivise di valutazione dei singoli e del sistema. Tanto più, inoltre, i patti dovrebbero essere chiari: non va in questa direzione la ricerca di difficoltà fini a se stesse, di cui è un esempio negativo la prova di matematica assegnata all'ultima maturità scientifica, giudicata da un largo numero di docenti, che da tempo in rete scambiano le più positive esperienze, obsoleta e inutilmente complicata.
La scuola ha bisogno di far cogliere la complessità dei processi e dei problemi e non di educare all'artificiosa complicazione: deve perciò aprirsi alle diversità dei soggetti e delle loro espressioni, fornendo strumenti per ricomporle in una solida struttura conoscitiva. Questa è la direzione che auspichiamo che assuma oggi il dibattito sulla scuola.