Manifesto: Una scuola da tenere a galla
Un eccesso di dirigismo statale o un necessario intervento per ristabilire le priorità dell'insegnamento? Un'analisi delle Indicazioni della commissione governativa sulla scuola e una riflessione sul sapere nell'epoca della globalizzazione Alba Sasso
La costruzione del sapere sociale è «impresa» complessa cui è destinata la scuola pubblica. In qualche modo, la scuola riflette ogni fase dell'evoluzione della società, e contemporaneamente è cassa di risonanza e camera di compensazione per tutto quello che si muove nel suo corpo, ne determina esigenze e a queste deve rispondere. Dunque scuola pubblica come vascello che è costretto per sua natura a navigare sempre su un mare in tempesta, e che difficilmente trova sul suo cammino approdi tranquilli in cui riposare. Oggi siamo ad una svolta, l'ennesima.
Appena pubblicate le indicazioni curricolari, elaborate da una commissione presieduta da Mauro Ceruti - alzi la mano chi le ha lette veramente - sono usciti sulla stampa due articoli di segno diametralmente opposto. Uno di Mario Pirani che ne esalta il carattere di ritorno al passato. «Di nuovo e finalmente c'è qualcuno che prescrive l'insegnamento di tabelline , grammatica e sintassi». L'altro, di Andrea Ichino, che lamenta invece il dirigismo che resiste. Mentre in molti paesi, aggiunge, lo «Stato si limita a stabilire requisiti e linee-guida generali, lasciando le scelte sull'offerta formativa ai singoli istituti».
Ambedue gli articoli affrontano una questione decisiva e ne ignorano un'altra. Parto subito da quest'ultima. Queste indicazioni, come già quelle elaborate in anni passati (tranne la parentesi morattiana) sono nella logica della progettazione curricolare. Che è già presente nella nostra scuola. E che nasce da lontano. Dal pensiero di Dewey. E che indica alla scuola una strada: quella di articolare scelte culturali, metodologiche e didattiche per raggiungere dei traguardi, quanto ogni ragazza e ogni ragazzo deve sapere e saper fare alla fine di ogni percorso scolastico. Traguardi che non possono essere definiti dal primo che passa, nella logica del cliente, appunto. Programmi tutti uguali, nelle forme e nei modi in tutte le scuole del «regno»? Non è più così, da tempo. E piuttosto che lanciarsi in dispute tanto lancinanti quanto inutili - tabelline o informatica - è questa l'altra decisiva questione, si può cominciare a ragionare in linee generali, di cosa si deve imparare a scuola? E la definizione di queste linee generali - saperi di cittadinanza e di responsabilità - può essere affidata ai singoli, o è invece il nucleo essenziale del mandato culturale che la società affida all'educazione, la trama essenziale per costruire una fisionomia culturale e valoriale della scuola e dei cittadini di questo paese? E dei cittadini tutti.
Perché in agguato è sempre l'idea - perseguita peraltro in molti Paesi e contenuta nell'idea di scuola della Moratti - di percorsi diversi con saperi forti per alcuni e saperi deboli per altri. E d'altra parte, se accettiamo la logica del cliente, compra meglio chi ha più soldi, più cultura e più potere. Dobbiamo continuare ad opporre le libertà all'uguaglianza?
Combattere le diseguaglianze che, attraverso un'idea proprietaria del sapere, si possono riprodurre nella scuola e attraverso la scuola, tra coloro che hanno accesso alla competenza che conta e coloro che ne sono esclusi è o no una questione di democrazia? Perciò è indispensabile che la scuola non resti a vedersela da sola e che si sviluppi un dibattito nel paese su questi temi. Tenendo insieme la ricerca e la riflessione sulla cultura della scuola con l'idea del sapere come bene comune da garantire a ognuna e ognuno. Provando anche a ricucire quanto nel dibattito sulla scuola è sempre stato separato e diviso. La discussione sul progetto istituzionale, sul progetto organizzativo, sul progetto culturale.
Si tratta, dunque, di far maturare un'operazione difficilissima: sostanziare con l'analisi e la riflessione sui cambiamenti strutturali, epocali e sociali del nostro tempo le ragioni e le finalità del sistema di istruzione e formazione, che sono anch'esse storiche, contingenti e perciò stesso ridefinibili. A partire da alcune idee e alcune domande.
Sappiamo che il sapere oggi si costruisce anche a partire dalle esperienze e dalle storie di ognuna e ognuno, che deve avere come obiettivo quello di moltiplicare le prospettive conoscitive, di orientare, di fornire chiavi di interpretazione della realtà. Sapere è saper cambiare, aggiornare, trasformare. E' saper cercare, direbbe Roland Barthes. «Ogni sistema educativo - sostiene Jerome Bruner - deve impegnarsi a trasmettere ai giovani non solo le conoscenze e il know how del passato, ma anche un senso vivace di ciò che è possibile costruire per il presente e per il futuro, sulla base di quello che sappiamo». E aggiunge: «Le scuole non sono carrozzoni ambulanti che trasportano mobilia inerte da una generazione all'altra!»
Come si costruisce allora un' organizzazione del sapere scolastico che non riproponga nuovi dogmatismi e nuovi assoluti? E cosa vuol dire oggi essere cittadine e cittadini istruiti? Come ragionare del profilo di un sapere moderno - un moderno corpo del reale - che si confronti con le questioni della globalizzazione, con le tensioni della contemporaneità? E il sapere per la cittadinanza, di cui tanto si parla, a quali percorsi di conoscenza fa riferimento? Come confrontarsi con culture altre, senza perdere le proprie radici, ma senza aggrapparsi arrogantemente ad esse? Come saper vivere nel presente, col bisogno che è dei giovani di immediatezza e di irriflessività, senza perdere il gusto della lentezza, della paziente riflessività? Come conciliare l'espansione straordinaria delle conoscenze con l'impossibilità degli esseri umani di assimilarle, e come costruire legami tra memoria biologica e memoria artificiale? E come utilizzare le potenzialità generatrici di apprendimento dei supporti tecnici e tecnologici, la possibilità infine di rendere studentesse e studenti organizzatori attivi, soggetti responsabili del loro percorso di apprendimento?
Il documento Ceruti si interroga su questi temi. Sarebbe importante che, al di là di quanto non si condivide delle indicazioni specifiche - ma ci sarà tempo per modificarle - si sviluppi a partire dal documento e dalle indicazioni una discussione dentro e fuori la scuola. Che costruisca, come già negli anni '70, un patrimonio di elaborazione, riflessione, operatività. Questo oggi serve. Non riti abbreviati di giudizio, ma impegni di lavoro e di ricerca. E anche un po' di passione. Della scuola, ma insieme della società e della politica. Non fermiamoci, per favore, ai dettagli.