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Manifesto: «Una guerra tra poveri proprio come alla Fiat»

La rabbia degli universitari

16/09/2010
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il manifesto

Giusi Marcante
Antonella Salini
BOLOGNA
Nel giorno in cui arriva netta la condanna del segretario della Cgil Guglielmo Epifani che bolla come «regressione» la scelta del senato accademico dell'università di Bologna di sostituire con docenti a contratto i ricercatori che si dichiareranno non disponibili ad insegnare, il rettore Ivano Dionigi è corso ai ripari. Ha inviato una lettera a tutti i «suoi» ricercatori in cui sostanzialmente riapre i giochi quando scrive che esiste «la mia disponibilità personale e del senato accademico alla ricerca di soluzioni possibilmente condivise, che contemperino le ragioni dei ricercatori con il rispetto dei nostri obblighi verso la società e gli studenti».
Cosa significhi questo non è chiaro ma la prossima settimana, martedì o mercoledì, è stato riconvocato il senato accademico. L'ateneo ha fatto un conto sommario e, se tutti i ricercatori aderissero al blocco della didattica, la spesa sarebbe di 3,5 milioni di euro. I protagonisti della protesta intanto hanno iniziato a contarsi. In facoltà come Lettere i ricercatori hanno deciso di non rispondere alla preside e di non comunicare i non disponibili a insegnare ma di proseguire nel dibattito interno e aspettare l'evoluzione del quadro nazionale e soprattutto la prossima assemblea generale d'ateneo a Bologna. A Biologia in 27 su 38 hanno rispedito i moduli in presidenza dicendo «no» alla didattica: è il 71% dei ricercatori. A Scienze della Formazione sono 44 su 53. Oggi invece si conteranno quelli di facoltà come Ingegneria, Medicina e Scienze Politiche.
Tra i ricercatori bolognesi il confronto è aperto più che mai, tutti tengono in particolar modo a far capire che questa non è una lotta «corporativa». Ma tutti sanno che in questo momento i riflettori sono accesi sulla loro condizione, forse per la prima volta in questi anni. A Biologia ieri mattina un gruppo di ricercatori la spiegava così: «È come se a un operaio della Fiat dessero in mano una chiave inglese e gli chiedessero, con solo quella a disposizione, di costruire una macchina - dice Alberto Danielli - allo stesso modo lo Stato chiede ai ricercatori di fare un'attività d'eccellenza con mezzi mediocri o irrilevanti». Ma non è contro l'università di Bologna che vogliono recriminare, loro se la prendono con il governo e in particolare con il ddl Gelmini.
«Ci piace insegnare, ma non possiamo concentrare i nostri sforzi su questa sola attività. Né tantomeno possiamo continuare a fare ricerca con i soldi previsti per noi dallo Stato. Sono somme completamente irrilevanti. All'estero ci ridono dietro, e al contempo ci ammirano perché lavoriamo senza mezzi». Un quadro desolante quello che descrivono. Con il loro gesto, andranno persi tra i 40 e i 50 corsi del nuovo anno accademico, molti dei quali insegnamenti fondamentali per più corsi di laurea. A meno che il rettore non riesca a trovare (come ha deciso il senato) dei docenti a contratto pronti a sostituirli. E chiariscono subito la loro posizione: dicono di capire perfettamente la scelta del rettore «che forse non poteva fare altrimenti», dice Paola Turina, ricercatrice di biochimica. Dicono che capiranno chi aderirà al bando per coprire i posti lasciati vuoti da loro. È una guerra tra poveri ma non vogliono mettersi contro altri precari dell'università. Aggiungono anche dell'altro, però. Se è vero che è solo contro il governo che vogliono protestare, sono altrettanto convinti che, con l'imposizione del loro blocco, stiano dando una grossa mano alle politiche universitarie nazionali. «Se scompariamo noi, se la nostra identità va annullandosi e l'università si trasforma nella diarchia docenti ordinari/docenti associati, è la qualità a risentirne, questo dovrebbe essere un grosso problema per un rettore». Il «grosso problema», se il ddl Gelmini sarà applicato in toto, si concretizzerà nella formazione di un nutrito esercito di precari a vita, che avranno un contratto di ricerca per un massimo di otto anni, senza mai avere rilevanza nelle scelte d'ateneo, considerati al pari di persone di passaggio. Allo scadere del contratto potranno tentare il concorso per l'avanzamento di carriera. Sennò, spariranno.


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