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Manifesto: Un Paese troppo elementare

Sono sei milioni gli italiani senza alcun titolo di studio, mentre altri 15 sanno appena leggere e scrivere

26/06/2007
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il manifesto

Giacomo Russo Spena
Roma
Quasi sei milioni di italiani sono senza alcun titolo di studio. A questi si affiancano altri 15 che hanno conseguito solo la licenza della scuola elementare. La situazione peggiora ulteriormente se si pensa che solo il 66% della popolazione è fermo alla licenza media. «E' un'emergenza nazionale e come tale va trattata», per dirla alla Tullio De Mauro, noto linguista italiano nonché ex ministro dell'Istruzione. Questi comunque i «drammatici» dati analizzati al convegno dell'Unione nazionale per la lotta contro l'analfabetismo (Unla). Associazione che si propone di promuovere l'istruzione popolare e l'educazione degli adulti nel Paese. Come? Attraverso 43 centri di cultura popolare, considerati dall'Unesco «i primi a mostrare i legami di alfabetizzazione e educazione permanente», che operano sui vari territori dell'Italia. Il numero maggiore è concentrato nel Mezzogiorno, tanto da far coniare all'Unla l'espressione «croce del sud». Anche se paradosso vuole che nel meridione ci sia un alto tasso di laureati. Caso limite è la Calabria che ha il 13,2% della popolazione con più di 11 anni senza alcun titolo, ma contemporaneamente il primato di maggior numero di laureati (il 7,9%). Campagne di alfabetizzazione, diffusione dei saperi, formazione permanente. Questi gli obiettivi dichiarati. I risultati? Ci sono, ma non sufficienti per rilanciare l'Italia nella classifica Ocse sull'istruzione. Il piazzamento infatti è dei peggiori. Su 25 paesi considerati, l'Italia si colloca al 24esimo posto, seguita solo dalla Turchia, per il livello culturale della popolazione». Una bocciatura sonora.
La scuola come fulcro centrale dell'alfabetizzazione è una discriminante sostenuta all'unisono nel convegno. «Formazione permanente, per tutto l'arco della vita». Questa la ricetta del viceministro della Pubblica istruzione Mariangela Bastico, che pone l'accento sul problema dell'analfabetismo di ritorno. Ma, da buona esponente dell'esecutivo che si rispetti, elenca gli «ottimi provvedimenti» adottati, non risparmiando critiche al centrodestra: «Educazione degli adulti, tempo pieno anche nelle medie, 1000 docenti in più, obbligo d'istruzione esteso ai primi 2 anni della scuola media superiore. Questo il nostro programma a differenza di quello della Moratti». Ma l'impressione è che in platea non tutti siano soddisfatti dell'ultima Finanziaria. Sforbiciando di qua e di là - si vocifera - ha tagliato anche i fondi alla formazione e alla ricerca. A farsi portavoce di questo malessere è De Mauro. «Convinci il presidente del consiglio che il tema è serio», replica l'ex ministro alla Bastico. «Il problema - continua - non è governo di destra o governo di sinistra, problemi di questa portata esigono una presa di coscienza nazionale. La questione non è del ministero di competenza ma dello Stato». De Mauro dipinge un quadro ancor più nero. Solo meno di un terzo della popolazione - spiega - arriva a livelli di piena competenza alfabetica ed aritmetica. Chi sembra avere le idee chiare per uscire fuori da questa drammatica situazione è l'ex ministro Luigi Berlinguer. «Bisogna innovare la scuola», ripensando le materie scolastiche e soprattutto i metodi di apprendimento. Ripartire - nota - dalla scienza sperimentale (laboratori, gite extra scolastiche) attraverso un modello partecipato, in cui gli studenti non sono semplici fruitori. «Solo così ci può essere un rilancio delle discipline scientifiche».
Ma la sua attenzione si focalizza anche sulla relazione livello d'istruzione-strato sociale di appartenenza. «Il problema per molti bambini è il capitale culturale di partenza. Non avendo genitori dediti allo studio e alla lettura, possono essere meno invogliati alla formazione». Ecco perché anche Berlinguer lancia la campagna di educazione permanente, anche per gli adulti. Per il bene delle future generazioni.
Gli fa eco anche il senatore Andrea Ranieri che parla della formazione come un nuovo diritto di cittadinanza. «Il cittadino - spiega - è colui che sa i propri diritti, che non si rassegna alle deleghe, che vuole capire e partecipare». Il sapere è libertà.


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