Manifesto: Tutti maturi e precari
Gli esami di maturità visti da un istituto professionale e uno commerciale. Tra studenti delle scuole serali ed extracomunitari
Chiara Acciarini
Alba Sasso
ROMA
È un grande casermone in quartiere popolare di Roma l'Ipsia De Amicis. Milleduecento alunni, tre indirizzi: odontotecnico, ottico, meccanico. L'indirizzo meccanico tira sempre meno: «Chi vuoi che si faccia aggiustare gli orologi di questi tempi», dice malinconico uno dei docenti che abbiamo incontrato. E di fatto il prossimo anno forse la classe di meccanica non sarà autorizzata. Anche per via dei tagli alle cattedre che sempre più minacciosi si addensano all'orizzonte. E nemmeno le due classi del serale odontotecnici saranno più autorizzate. Troppo poche, a detta del ministero, le quaranta iscrizioni.
Ma andiamo con ordine. Quando si entra in una scuola, come in questi giorni abbiamo fatto, impegnata nell'esame di stato il tempo sembra essersi fermato: le consuetudini, i riti, sono quelli di sempre. Nel bel cortile dell'istituto, capannelli di ragazzi. Emozionati? «Ogni giorno c'è un esame», dice sorridendo Andrea. Eppure, come da copione, una ragazza piange, anche se, girando per le commissioni, si percepiscono grande tranquillità e disponibilità dei commissari. Molti di loro sono giovani: i più anziani rinunciano e allora ecco i precari anche agli esami di stato.
Il serale, dicevamo. In questa come in altre scuole professionali sono una realtà importante. Il precipitato di tanti problemi della scuola, dalla dispersione all'integrazione con ragazzi extracomunitari. Diversamente dal passato sono la strada per recuperare studenti fuoriusciti dai percorsi tradizionali, i cosiddetti «dispersi», e che attraverso questa opportunità si sono reinseriti e hanno potuto raggiungere il diploma, come ci dice Amalia Guarnaccia, presidente di commissione e docente di un altro istituto professionale. Non sono corsi «facili». Ogni giorno lezioni dalle 18 alle 23 e per chi ha già una giornata di lavoro alle spalle non è proprio una passeggiata. E non sarà facile il prossimo anno gestire una classe di 40 alunni.
Molti gli extracomunitari, appunto. Ce lo conferma un ragazzo romano che però una volta declinato il suo nome - Adrian Keraoni - si rivela di origine algerina. Ascoltiamo l'esame di una ragazza rumena. Sembra preparata sulle materie professionali, anche se per ogni definizione ricorre a lunghe perifrasi. «Sì - dice la professoressa Guarnaccia - questi ragazzi si sono impadroniti di una lingua veicolare, quella che serve tutti giorni, ma avrebbero bisogno di possedere una lingua per studiare. Perciò bisognerebbe potenziare i progetti mirati per la conoscenza della lingua italiana». Si farà? si potrà ancora fare?
Restiamo ancora un po' a parlare con i ragazzi. Perché il corso per odontotecnici? In realtà Adrian vuole il diploma per entrare in polizia, già fa la guardia del corpo in una struttura privata. Le due peruviane invece per andare alla facoltà di scienze infermieristiche. Sembra di tornare indietro nel tempo, quando ancora «quel pezzo di carta» valeva dei sacrifici.
Parliamo col vicepreside Edoardo Cavatorta. «Certo che servono gli esami. Ma i cambiamenti continui disorientano, creano meccanismi impauriti. Rigidità. Quando si cambia bisogna farlo bene, magari ascoltando le scuole. Gli esami in fondo sono il frutto di quello che c'è stato prima».
Anche all'Istituto tecnico commerciale Tommaso Fiore di Modugno (provincia di Bari) , indirizzo Iter (lingue e turismo) registriamo uno scarto tra l'itinerario di studi e i progetti personali per la maggior parte degli alunni, in prevalenza ragazze. Il diploma permetterebbe di lavorare come operatori turistici: sia come guide sia in agenzie. Le tante ragazze che abbiamo incontrato pensano di andare all'università o nella gettonatissima facoltà di scienze infermieristiche o a Scienze della Formazione. Per fare le insegnanti di scuola dell'infanzia. Ne parliamo col presidente di una delle commissioni, Vito Savino. Che mette l'accento in particolare su due questioni. In primo luogo la congruenza tra l'esame e il percorso fatto. «La terza prova ad esempio - quella preparata dalla commissione locale per verificare la preparazione degli studenti - è sempre una prova "spezzagambe". In molti casi rappresenta una frattura rispetto alle pratiche didattiche tradizionali. E perciò - perlomeno in questa scuola - è quella in cui ragazzi e ragazze sono andati peggio» .
La seconda questione è che, anche se ci saranno pochi bocciati, moltissimi avranno voti dal 60 al 70. «Con questi voti non si va da nessuna parte», dice il professor Savino. Non si può accedere ai concorsi pubblici e anche il settore privato chiede voti più alti, a meno che non si vada nell'agenzia di papà o di qualche amico. Insomma si è condannati all'Università».
E d'altra parte anche chi frequenta i licei e non supera alla maturità il 70 avrà difficoltà negli studi universitari. E' quanto ci dice Pino Di Florio, docente di storia e filosofia, commissario interno in uno dei più prestigiosi licei classici di Bari, il Socrate. Anche qui molta serenità ai colloqui. I ragazzi, ma soprattutto le ragazze - tantissime - sembrano avere le idee molto chiare. Molti si iscriveranno a medicina, altri a giurisprudenza. Pochi a lettere e filosofia. Pochissimi alle facoltà scientifiche. Una particolarità: qui si vedono molti più genitori che altrove. A volte anche molto battaglieri. «Certo - dice Di Florio - l'esame non è selettivo, ma noi i ragazzi li perdiamo durante il quinquennio. E non pochi». Anche lui torna sulla terza prova. Nel liceo classico - a suo dire - mette in drammatica evidenza la differenza di preparazione tra area umanistica e il resto delle materie. Non si tratterà, ci chiediamo, di un problema di questo percorso di studi piuttosto che dell'esame?
Alla domanda risponde affermativamente Enza Maffei, presidente di commissione nella stessa scuola e dirigente scolastica. Che evidenzia come all'esame di stato vengano al pettine tutti i nodi irrisolti di un percorso scolastico mai riformato. E anche la mancanza di criteri generali e condivisi di verifica e valutazione. Una cultura comune della valutazione non si improvvisa e non si costruisce nell'emergenza dell'esame. Infine stigmatizza la decisione di oscurare i voti finali. Sì, perché nei tabelloni finali ci sarà solo l'indicazione di chi ha superato o no l'esame. Una solenne sciocchezza e una molestia burocratica. Visto che i ragazzi affolleranno le segreterie per sapere il voto. E ci mancherebbe!
Il Galileo Ferraris è il più antico liceo scientifico di Torino, situato nella zona residenziale della Crocetta, a pochi passi dal centro della città. Confina, non solo fisicamente, con il Politecnico, uno dei luoghi indiscussi di formazione della classe dirigente subalpina. Parliamo con la professoressa Sara Paolati, docente di matematica e fisica nel liceo, impegnata come commissario interno.
Sara Paolati non ha dubbi: l'esame è un traguardo necessario con cui i ragazzi si devono misurare. Piuttosto, è il legislatore che si deve chiedere cosa vuole ottenere dall'esame di stato. Se manca una chiarezza di obiettivi questa carenza si riverbera sulla scuola.
Rispetto alla seconda prova costituita quasi sempre dalla matematica, propone, e questo ci sembra interessante, una modifica che eviterebbe scopiazzature, informazioni, suggerimenti. La articolerebbe in due parti. Le prime tre ore dedicate al problema, un breve intervallo, le seconde tre ore dedicate ai quesiti. Sarebbe garantita una maggiore serietà all'esame.
Al Galileo Ferraris gli esami non sono «facili». Un po' in tutte le commissioni il colloquio è una prova pesante, più lunga e complessa di quelle che i ragazzi sono abituati a sostenere nel corso degli anni di scuola. La tensione è innegabile, perché i ragazzi continuano a credere in questo esame, a misurarsi con esso, a considerarlo la porta da attraversare per cominciare a costruire il loro futuro. Un futuro che per le ragazze e per i ragazzi dello scientifico è un futuro universitario coerente con gli studi compiuti. Gli allievi della professoressa andranno ad ingegneria, a matematica, a fisica, a medicina. Solo due sembrerebbero puntare sulla facoltà di lingue.
Prima di lasciarci, Sara Paolati ci tiene a ribadire quanto aveva già adombrato all'inizio del nostro incontro. L'esame è necessario, i ragazzi lo affrontano con serietà. Quello che non si capisce bene, ci dice, è quello che vogliono i politici. Il parlamento ha più volte modificato l'esame: dalla riforma di Berlinguer del 1998 si è passati alle commissioni tutte interne volute dalla Moratti, per poi tornare alla commissione mista. La scuola assiste a queste trasformazioni e si chiede: che cosa si vuole ottenere dall'esame di maturità? Ci vuole chiarezza, sostiene, per migliorare il lavoro degli insegnanti e degli allievi. Perché se gli obiettivi dell'esame conclusivo sono chiari, se si sa cosa valutare diviene più agevole sostenere l'utilità di una seria prova nazionale, sconfiggendo sia l'arbitrarietà delle posizioni che ne chiedono l'abolizione, sia la superficialità di scelte economiche che li riducono ad un problema di costi per la pubblica amministrazione.
E, soprattutto, aggiungiamo noi, sarebbe più nitida la vocazione democratica ed egualitaria del nostro sistema di istruzione, che trova il suo fondamento nella Costituzione italiana.