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Manifesto: Tutti i bluff di Gelmini-Tremonti

La Gelmini e il governo, per giustificare i tagli all'università, hanno inserito un ritornello che fa così: la nostra missione è quella di eliminare i feudi dei baroni. Siamo sicuri?

16/11/2008
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il manifesto

Giuseppe Caliceti

La Gelmini e il governo, per giustificare i tagli all'università, hanno inserito un ritornello che fa così: la nostra missione è quella di eliminare i feudi dei baroni. Siamo sicuri? Il potere delle gerarchie accademiche oggi appare fondato essenzialmente sul diffuso precariato, su un decennale sottofinanziamento del sistema dell'alta formazione e dalla ricerca, sulla mancanza di trasparenza nei concorsi, sulla gestione clientelare degli atenei, sulla forte gerarchia degli organi di governo accademici, sul proliferare di sedi e di finanziamenti.
Ebbene, i provvedimenti Gelmini-Tremonti non intaccano questi pilastri. Anzi. Il finanziamento, invece di aumentare, diminuisce. Aumentano le tasse ai fuori-corso, il 66% dei laureati. Aumenta l'accentramento del potere nella mani del Rettore e del Cda «in modo che possa realmente assumere la piena responsabilità delle sue decisioni». Il blocco del turn-over viene confermato. Nessuna norma è tesa a garantire percorsi certi di ingresso dei giovani e dei precari. Viene confermata la cancellazione della figura del ricercatore universitario. Il reclutamento e le progressioni di carriera avvengono con il contagocce e restano saldamente nelle mani della casta dei professori ordinari. Più che eliminare feudi e baroni universitari, il governo pare mirare, piuttosto, a selezionare rettori, presidi e baroni disposti ad accettare la trasformazione in fondazioni private. E punire chi si schiera in difesa della università pubblica. Semplicemente si vuole sostituire la figura del barone burocrate con quella del barone-imprenditore con la sua cattedra-azienda di stampo padronale.
Il decreto Gelmini conferma infatti il blocco del turn over per gli atenei: dal 20 al 50 per cento. Le università possono assumere giovani ricercatori e docenti - anche in numero di due-tre - al posto dei professori che vanno in pensione, ma ciò dovrà avvenire «a costo inalterato»; un modo per dire che i neoassunti si dovranno accontentare di stipendi più bassi - leggi gabbie salariali? Non solo. «Gli atenei con i bilanci in perdita non potranno bandire concorsi per docenti o personale amministrativo». Ed è bloccato il reclutamento di ricercatori, associati e ordinari anche «nelle università che dedicano agli assegni fissi per il personale più del 90 per cento del fondo statale». Ai precari dell'università e della ricerca si lascia quindi l'illusione di potere accedere ad una manciata di nuovi posti, che tuttavia rischiano di non poter essere banditi per mancanza di fondi. La presunta lotta ai feudi e ai baroni universitari è dunque un falso. Serve solo a giustificare poderosi tagli.
Secondo alcune stime le università dovranno cedere allo stato il 50% del fondo proveniente dai pensionamenti, senza contare la stangata in Finanziaria. La risposta dell'Onda: «Respingiamo con determinazione chi ci accusa di non opporci con forza allo spreco di risorse pubbliche». E pone al ministro e all'opinione pubblica una semplice domanda: «Se ci sono sperperi, è meglio tagliare i fondi o sostituire chi spreca?»
(calicetigiuseppe@libero.it)


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