Manifesto: Tra i precari dell'università di Pisa, per «aprire un tavolo di trattativa» con l'ateneo
Un referendum illuminante Continente emerso all'improvviso: ben 17 forme di lavoro atipico soltanto tra specializzandi, dottorandi e altre qualifiche. Fino all'inferno degli aspiranti
Tra i precari dell'università di Pisa, per «aprire un tavolo di trattativa» con l'ateneo
TOMMASO TINTORI
PISA
Il referendum dei precari dell'Università di Pisa si è tradotto in un successo che è andato ben oltre le stesse aspettative degli organizzatori. 1082 i votanti sui circa 3mila aventi diritto tra i «senza diritti», tanto per usare un gioco di parole. Un ottimo e insperato 36% raccolto nelle facoltà di Lettere, Ingegneria, Giurisprudenza, Scienze, Medicina ed Agraria. Il referendum, primo del genere in Italia e non riconosciuto ufficialmente dall'ateneo toscano, è stato articolato su 7 quesiti, il primo dei quali, il più importante, chiedeva il consenso sull'apertura di un tavolo di trattativa con l'Ateneo per discutere delle 17 forme contrattuali atipiche (un dato emerso solo grazie al referendum) presenti nell'Università. Avviare quindi una precisa richiesta di tutela per assegnisti, borsisti, cocoprò, specializzandi, ecc. che lavorano senza poter beneficiare di diritti primari quali la malattia, le ferie, la maternità. Il referendum ha scatenato un vespaio di polemiche, a cominciare dal numero di precari stimati dentro l'ateneo pisano: circa 3mila secondo gli organizzatori della consultazione (a fronte di 1850 docenti di ruolo). Poco più di 700, invece, secondo alcuni prorettori, per i quali gli specializzandi in medicina, i borsisti e i dottorandi sarebbero «personale in formazione», mentre solo i cocoprò e coloro che hanno firmato un contratto di prestazione occasionale possono essere considerati lavoratori «non strutturati». Al di là della battaglia dei numeri, la polemica maggiore ha riguardato il mancato riconoscimento ufficiale da parte dell'Università di Pisa. «L'ateneo ha provato con ogni mezzo - afferma Francesco Auletta, portavoce del comitato promotore del referendum - ad ostacolare questa forma democratica di consultazione popolare evidentemente molto scomoda. Adesso è persino costretto a fare i conti con un'affluenza alle urne di oltre mille persone. Voglio proprio vedere come potrà negarci l'apertura di un tavolo di trattative». Tra i contrari al referendum era anche l'associazione dei dottorandi e dei dottori di ricerca (Adi). Una posizione clamorosa solo in apparenza, vista la vicinanza della sezione pisana alla Casa delle Libertà. «Se l'atteggiamento dell'Università - commenta Auletta - rispecchia la volontà dell'ateneo di ignorare il crescente malcontento, quello dell'Adi è semplicemente un boicottaggio 'a prescindere' ». A favore del referendum si era invece espresso il Consiglio di facoltà di Lettere e filosofia, che attraverso la votazione di una mozione aveva riconosciuto «piena legittimità alla consultazione referendaria». Così come la Cgil Pisa, i Cobas e la Federspecializzandi di Medicina, secondo cui «il referendum rispecchia le rivendicazioni che da alcuni anni affermano gli specializzandi, medici che si assumono spesso carichi di lavoro e responsabilità del personale strutturato, ma che sono considerati ancora studenti in formazione privi di diritti quali le ferie, la maternità, la malattia, i contributi». E dalla galassia del precariato universitario, nella fattispecie dall'ateneo pisano, emerge una figura particolare di lavoratore precario, la cui situazione, se possibile, è ancora peggiore rispetto a quella degli aspiranti specializzandi. E' quella dei cosiddetti «specializzoidi », laureati in Medicina e Chirurgia (generalmente già abilitati), formalmente tirocinanti volontari, che frequentano quotidianamente le varie cliniche nella speranza di entrare a far parte del mondo degli specializzandi. Proprio perché lavorano nell'ombra e non hanno la possibilità di far sentire la propria voce, è difficile avere una stima precisa del loro numero, anche se dovrebbe aggirarsi sui 160-170. Gli aspiranti rappresentano un vero e proprio esercito di riserva che lavora senza la benché minima tutela o diritto e senza neanche quel minimo di regolamentazione che hanno gli specializzandi. Sono continuamente sottoposti al sottile ricatto «se non frequenti e non fai quello che ti dico non entrerai mai nella scuola di specializzazione» e pertanto disposti praticamente a tutto. Generalmente sono utilizzati per coprire qualsiasi carenza: dall'attività di segreteria o didattica fino a quella assistenziale (festività comprese), con turni di lavoro allucinanti, privi di copertura assicurativa e, nemmeno a dirlo, di retribuzione