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Manifesto: Tra conflitto e integrazione, i mille piani della governance nell'università

Due tempi Mercato, bene comune. I due poli della futura università. Appunti dopo un incontro alla Sapienza con il nuovo ministro Fabio Mussi Agenda politica Superamento della precarietà, parcellizzazione del sapere, aumento dei finanziamenti, autogoverno della formazione

16/07/2006
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il manifesto

Francesco Raparelli
«Occorre provvedere al governo e alla governance dell'università», una formula che condensa efficacemente il lungo intervento del neo ministro Fabio Mussi svolto presso l'università La Sapienza di Roma lo scorso martedì 11 luglio. Un incontro poco rituale, piuttosto denso, acceso, in alcuni momenti sospeso. Indubbiamente una platea amica, quella de «La Sapienza», ma non priva di attenzione, di scrupolo, di diffidenza.
Per quale motivo parlare di università pretende un discorso non ingenuo sulla governance? Tanto l'introduzione del rettore Renato Guarini, tanto l'affondo del ministro aiutano a comprendere meglio ciò che gli studenti avevano già in parte anticipato durante un anno intenso di movimento e di battute di arresto, di scontro e di nuova definizione del campo del conflitto, di virtuose diversioni e di riflusso sonnacchioso. Proprio «La Sapienza» è stata, infatti, protagonista dell'espressione più significativa del movimento dello scorso autunno che aveva visto insieme studenti, precari della ricerca, docenti «atipici» e, di lì in poi, di un'interessante sperimentazione sul terreno dell'«autoformazione», un'autonomia universitaria agita dal basso.
Il concetto di governance - tanto per Guarini, tanto per Mussi - è coestensivo a quello di autonomia. L'università non è autosufficiente, piuttosto è nodo in una rete complessa di rapporti di mercato e istituzionali. Nello stesso tempo, e proprio in virtù di questa nuova e irreversibile apertura al «sociale», l'università deve procedere verso un radicale modello di autogoverno. Relazione, rete e nello stesso tempo autonomia gestionale. Il processo inaugurato con le riforme degli anni '90 è ormai nella sua fase matura e attende una verifica già da tempo differita. Come fare dell'università un nodo della rete tecno-produttiva? Come stabilizzare il rapporto tra formazione e mercato del lavoro? Come fare della ricerca e dell'innovazione terreni centrali del modello di sviluppo italiano ed europeo in generale?
Mussi ribadisce la positività del «processo di Bologna», della trasformazione europea che in Italia si è affermata con la riforma Berlinguer-Zecchino, ma non nasconde i problemi: proliferazione di «specialismi idioti», impasse economico nella gestione del 3+2. La ricerca, poi, è l'altro nodo dolente: scarsità di risorse, precarizzazione, «fuga dei cervelli». Mussi parla chiaro, o un'inversione di tendenza nel finanziamento pubblico alla ricerca, o inarrestabile recessione. Nel dire questo propone una politica dei due tempi: ristrettezze e sacrifici fino al 2007, poi impennata espansiva.
Quando parliamo di governance, dunque, parliamo non solo del nuovo carattere aperto, imprenditoriale e territoriale nello stesso tempo dell'università; ma facciamo riferimento anche alla capacità dell'università stessa di divenire dispositivo plastico e selettivamente permeabile rispetto alla pressioni che emergono dal basso. Non è un caso che Mussi - eterodosso tra i Ds, figura parzialmente vicina e dialogante con i movimenti di questi anni - sia stato nominato ministro e che Guarini e il corpo accademico romano abbiano intrapreso una gestione assolutamente illuminata nei rapporti con gli studenti. Quando il movimento, soprattutto a Roma, aveva posto come questioni in gioco della protesta e delle mobilitazioni è agenda, con qualche differenza, del ministero che viene: revisione strutturale del 3+2, rifiuto della precarizzazione, aumento dei finanziamenti, articolazione dell'autogoverno universitario.
A dirla in questo modo pare si possano dormire sonni tranquilli, perché le istanze sono state raccolte, tutto procederà per il meglio. È evidente, infatti, che i delicati esperimenti di governance che caratterizzeranno l'intervento del ministro e già caratterizzano la gestione de La Sapienza renderanno cosa meno facile agitare un conflitto radicale dentro l'università. La convergenza inaspettata tra corpo accademico e studenti di «nuova generazione», precari della ricerca e studenti medi, che si è verificata lo scorso autunno, è invitabilmente destinata a perdere pezzi: i docenti e i rettori hanno un tavolo negoziale solido, al pari delle associazioni studentesche più istituzionalizzate.
Tutto ciò, però, non significa necessariamente la paralisi. Mai come adesso diviene attuale il progetto di autoriforma dal basso dell'università. Un progetto che intraveda nell'autoformazione un processo di molecolare e diffusa erosione del 3+2 e più in generale della fast-university, parafrasando un'espressione francese, l'università «usa e getta», dei crediti e della frequenza obbligatoria. Proprio la Francia, infatti, è il nodo irrisolto, il punto debole della governance proposta da Mussi. Pur recuperando - rispetto agli standard francesi e tedeschi - la fragilità economica (ne siamo certi?), le università italiane non possono nulla rispetto ai processi di precarizzazione selvaggia che qualificano il mercato del lavoro. Specializzazione e inseguimento dell'aleatorio (il mercato), non fanno altro che funzionalizzare il sapere a questo processo. Invertire seriamente la tendenza significa ripensare l'università nei termini dell'autonomia e dell'autorganizzazione del lavoro cognitivo. Significa pensare un nuovo Welfare non lavoristico in grado di garantire la ricerca e la formazione permanente. Su tutto questo la governance di Mussi e del centrosinistra ci dice ancora poco, pochissimo. Oppure balbetta o procede verso sentieri pericolosi. Il campo ad ogni modo è più aperto di quello che sembra!
Per finire, un accenno alla conclusione eterodossa e lodevole del Ministro. Incalzato dagli studenti della rete dell'autoformazione e di Esc, Mussi - pur rimarcando le distanze dai fatti del 6 novembre - ha insistito sull'assoluta inopportunità delle misure cautelari che ancora colpiscono Francesco Brancaccio (tra le altre cose senatore accademico) e altri studenti de La Sapienza (tra cui chi scrive). Di questi tempi, non male.


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