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Manifesto-Toni Collola, maestro a Settimo torinese: "La riforma, scemenza pedagogica"

INTERVISTA "La scuola ha bisogno di più attenzione" Toni Collola, maestro a Settimo torinese: "La riforma, scemenza pedagogica" CINZIA GUBBINI ROMA La lotta non è finita ma semmai appena inizi...

19/01/2004
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il manifesto

INTERVISTA
"La scuola ha bisogno di più attenzione"
Toni Collola, maestro a Settimo torinese: "La riforma, scemenza pedagogica"
CINZIA GUBBINI
ROMA
La lotta non è finita ma semmai appena iniziata, e già ieri tra le fila serratissime della manifestazione si potevano cogliere progetti prossimi futuri. Proposte fioccano da Torino, ad esempio, uno dei luoghi in cui dalle lotte operaie sono fiorite le prime sperimentazioni del tempo pieno. Sabato prossimo è già previsto un corteo, ma, spiega Mario Cossu del Coordinamento genitori di nidi-materne-elementari e medie si sta anche preparando una campagna nazionale per: chiedere le dimissioni del ministro, spingere le famiglie a rifiutare in massa l'anticipo scolastico e avviare una sorta di "spam" nei confronti del ministero, facendo arrivare migliaia di richieste per le iscrizioni al tempo pieno. Tra un'idea e l'altra, ne approfittiamo anche per scambiare qualche parola con Toni Collola attivo membro del Co.ci.se. (coordinamento cittadino di Settimo torinese), e insegnante in una scuola elementare di Settimo, dove tutte le scuole sono a tempo pieno e si vive un periodo storico di dura deindustrializzazione.

Come vedi la scuola della riforma Moratti?

Non la vedo proprio, perché penso che non sarebbe sostenibile. Ma se devo trovare un'immagine scelgo il film di Fritz Lang, Metropolis. Vedo flussi di persone che vanno verso l'ingabbiamento del proprio destino scolastico, già prefigurato in base al censo e all'appartenenza di classe. La scuola elementare a tempo pieno, invece oggi è una comunità educante in cui si sceglie collegialmente e in cui il sapere non è calato dall'alto per riempire vasi vuoti.

Ma allora della scuola non va cambiato proprio niente?

La scuola ha bisogno di molte cose. Prima di tutto di una maggiore attenzione. Sociale, politica, istituzionale. Inoltre ha bisogno di finanziamenti, di investimenti seri. Per questo è scandaloso che i soldi vadano alle scuole private.

Parliamo dell'introduzione dell'insegnante prevalente. Non è che vi opponete per "gelosie" di categoria?

Ci opponiamo perché è una scemenza pedagogica. Per trent'anni la scuola a tempo pieno ha differenziato le aree, da un lato quella scientifico-matematica, dall'altra quella linguistica; lo stato ha speso miliardi per aggiornare il personale, gli insegnanti hanno approfondito la metodologia di insegnamento. Perché se vuoi essere un buon insegnante di italiano o di matematica, non improvvisi. E ora, improvvisamente, si rispolvera il maestro tuttologo.

Perché non vi piace l'anticipo?

E perché tanta fretta? Qual è il modello che c'è dietro? Quello del venire fuori dalla scuola il prima possibile, quella del just in time. I bambini hanno dei tempi di maturazione che vanno rispettati, lo dico con cognizione di causa perché nella nostra scuola facciamo da trent'anni valutazioni all'inizio dell'anno per cercare di equilibrare le classi in modo da non avere la classe dei "geni" o quella "lenta". Ebbene, ogni volta che abbiamo provato a sottoporre le stesse prove a bambini più piccoli, ci siamo accorti che la differenza si vede, ed è normale. Cosa diventeranno queste classi con bambini che hanno anche venti mesi di differenza fra di loro? Bisogna fare molta attenzione, perché i documenti di Bertagna prevedono la possibilità di creare dei "gruppi" differenziati per permettere il recupero. Stiamo andando verso le vecchie classi differenziali, dove veniva ghettizzato il disagio. Non va inoltre sottovalutato un dato: le famiglie non sono attratte da questa opzione, l'anno scorso durante la sperimentazione su 22 bambini di Settimo che potevano usufruirne, solo 2 lo hanno fatto. In genere, perché le rette degli asili sono altissime, arrivano anche a 500 euro. Un problema serio che va affrontato. Ma la soluzione non è mandare i bambini a scuola prima


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