Manifesto: Tabelline e grammatica? Critica chi a casa parla italiano»
Parla il maestro Marco Rossi Doria: «Le Indicazioni non sono reazionarie, liberano dal "pedagogichese"». E attacca il tabù delle retribuzioni: «Più a chi dà di più»
Cinzia Gubbini
Roma
Per tutti Marco Rossi Doria continua a essere «il maestro di strada», quello che a Napoli ha messo in piedi il «progetto Chance» contro la dispersione scolastica. Oggi continua a lavorare agli stessi temi ma dal ministero. E sin dall'inizio è stato uno dei componenti della Commissione che ha stilato le Indicazioni per il primo ciclo scolastico.
Il ministro dice che bisogna tornare a studiare tabelline e grammatica. Restaurazione?
Non voglio essere provocatorio, ma sono vent'anni che lo dico ai miei colleghi. E lo dico soprattutto pensando ai ragazzi che vengono da situazioni di disagio, dove non ci sono mamma e papà che parlano italiano a scuola. Però credo che le Indicazioni siano tutto tranne che banali e retrò, tutt'altro che reazionarie. Certamente si dice che la scuola deve trasmettere anche gli strumenti formali del sapere, ma dando grande spazio al momento del laboratorio e alla creatività. Il fatto è che bisogna essere intellettualmente onesti, e ragionare anche sulla trappola in cui è caduta una generazione di insegnanti..
Quale trappola?
Non è il caso di generalizzare, però noi sessantottini che abbiamo fatto la lotta per una scuola non classista seguendo le parole di don Milani e quando poi siamo diventati insegnanti abbiamo ceduto al narcisismo: essere quelli bravi, accoglienti, capaci di catalizzare tutto l'amore dei ragazzi. E' molto più duro dire: vieni qua, riscrivi questa cosa che non va bene, facciamolo insieme. Costa fatica, può essere scomodo.
Ma non sarà che si è perso un po' il gusto di discutere degli orientamenti pedagogici?
Per la verità mi sembra che la scuola avverta un gran bisogno di liberarsi dai paroloni del «pedagogichese», da un lessico imposto e che non è capace di nominare le cose, le cose vere. Ma la vera sfida è provare a coniugare gli approcci, e questo abbiamo cercato di dire con le Indicazioni: facciamo una scuola laboratoriale, ma diamo ai ragazzi anche un insegnamento rigoroso. Siamo tornati a dire cosa è scienze, cosa è matematica, cosa è geografia ma liberando la scuola di quelle indicazioni prescrittive partorite all'epoca della Moratti. Abbiamo individuato dei traguardi di apprendimento che lasciano liberi gli insegnanti di costruire il loro curricolo. Un segnale importante, mi sembra, è che per la prima volta nella storia una Commissione che ha studiato le Indicazioni non viene sciolta una volta terminato il lavoro: non lasciamo sole le scuole, andremo di persona a discutere. Già nei prossimi giorni sarò a Agrigento, Catania, poi Trento e Genova. Le scuole non vanno abbandonate, spero che non accada e io, nel mio piccolo, mi batterò perché non accada.
Ma di cosa ha bisogno oggi la scuola, secondo lei, per riprendere in mano la sua funzione?
Ha bisogno di ritrovare la sua autonomia, gli insegnanti hanno bisogno di sentirsi dire che sono protagonisti della relazione educative e che nessuno starà lì a dirgli che hanno sbagliato. Dovrebbe essere questo il messaggio che arriva dall'intellighenzia che spesso sta lì a criticare con tanta facilità. Ci vorrebbe un gesto di generosità della società che non ha più cornici educative. La scuola si trova a fare da supplente e per questo andrebbe sostenuta.
Per la verità gli insegnanti sono stati sotto attacco in quest'ultimo anno. Prima la storia del bullismo, ora quella dei prof fannulloni...
Nessuno difende personaggi assenteisti, questo è sicuro, ma sono certo che si tratti di una minoranza. Per quanto riguarda il resto, il discorso è complesso: da un lato ci sono le famiglie che fanno fatica a strutturare il super io dei ragazzi, a dire dei no, a essere costanti nelle regole, a saper contenere i dispiaceri. Poi li mandiamo a scuola, e qui cominciano i guai. Quando ero studente io percepivo un'alleanza tra mio padre e il mio insegnante, oggi non è più così. E non credo che questo sia un discorso reazionario. D'altro canto, bisogna anche tenere ben presente che la scuola non può supplire a tutto, compreso il vuoto di valori.
Prodi oggi si è rivolto agli insegnanti dicendo: «Capiamo la vostra fatica». Gli insegnanti italiani sono stanchi?
Credo che per fare l'insegnante non basti soltanto la passione personale, per quanto sia un fattore essenziale. Credo che l'insegnante lavori bene quando si sente parte di una squadra che funziona. Nelle Indicazioni diciamo, ad esempio, che l'italiano è una questione che riguarda tutti: anche l'insegnante di matematica, e di scienze, perché anche lì c'è un lessico che deve essere usato correttamente. I docenti dovranno mettersi insieme per stendere un curricolo. E a questo proposito spero che, con calma, si possa anche discutere di una retribuzione differenziata: non a livello individuale, ma di gruppi di insegnanti chiamati a dare di più. Se si chiede di più si deve anche dare di più. D'altronde lo diceva un certo Federico Engels: a uguale lavoro, uguale salario. Che non vuol dire salario standard per tutti, indipendentemente dal lavoro svolto.