Manifesto: Sindacati per università amiche del clima
poiché le azioni collettive per ridurre i consumi energetici e - dunque - le emissioni di gas climalteranti sono più efficaci di quelle individuali (pur indispensabili in qualunque strategia), allora i sindacati sono i soggetti collettivi adatti a farlo; il che significa che hanno una precisa responsabilità in materia
Marinella Correggia
Con il loro documento di discussione Climate change: a trade union responsibility in higher education (Cambiamenti climatici: una responsabilità per i sindacati nell'educazione superiore), Brian Everett e Rob Clepeland si sono presentati alla conferenza di Education International (Ei), l'organizzazione internazionale dei sindacati dell'istruzione che si tiene questa settimana a Malaga in Spagna (come anticipato dal quotidiano inglese Guardian). Secondo i due sindacalisti che fanno parte dell'organizzazione inglese University and College Union (Ucu), poiché le azioni collettive per ridurre i consumi energetici e - dunque - le emissioni di gas climalteranti sono più efficaci di quelle individuali (pur indispensabili in qualunque strategia), allora i sindacati sono i soggetti collettivi adatti a farlo; il che significa che hanno una precisa responsabilità in materia. Insomma, la lotta al cambiamento climatico è materia sindacale. Docenti, ricercatori, staff devono declinare il problema anche nei negoziati con i datori di lavoro, negoziati che finora hanno avuto a che fare con le condizioni salariali e di occupazione. I due sindacalisti raccomandano che tutti i sindacati affiliati di Ei introducano rappresentanti ambientali nelle trattative; pongono inoltre fra i punti qualificanti anche la tutela attiva di chi denuncia situazioni ecologicamente insostenibili all'interno dei luoghi di lavoro.
Il paper per la conferenza di Ei parte dal caso della City University, inglese, un centro di medie dimensioni con 23.680 studenti provenienti da ben 157 paesi. La City è responsabile di oltre 12.000 tonnellate di emissioni di anidride carbonica l'anno. Ecco dunque che gli accademici, singoli e associati sindacalmente, non possono limitarsi a studiare il problema del caos climatico ma devono fare qualcosa. Poiché l'87 per cento delle emissioni è legato all'energia spesa negli edifici universitari per fini termici ed elettrici, cosa si potrebbe fare? Ovviamente, rinverdire le strutture con le energie rinnovabili e l'architettura climatica; ma anche... rendersi conto della scarsa saggezza ambientale dei calendari scolastici: nell'Europa continentale e del Nord non ha molto senso riservare il periodo di vacanze all'estate, stagione in cui ci sono più ore di luce e non servono i riscaldamenti. Ovviamente l'idea di lavorare in estate potrebbe sembrare sindacalmente poco appetibile, ma il problema è stato lo stesso sollevato, coraggiosamente.
Così come si attribuisce un risvolto ambientale interessante - meno chilometri da percorrere meno CO2 - alla richiesta spesso avanzata dalla dirigenza ai docenti, di abitare più vicino all'università così da essere più disponibili. In questo senso anche il lavoro a domicilio e il car sharing dovrebbero maggiormente essere considerati, anche se si tratta di temi controversi. Né viene ignorato il problema dei numerosi viaggi in aereo per conferenze... magari incentrate sull'effetto serra antropico; un comportamento responsabile punterebbe sulle teleconferenze.
Sui viaggi, un altro punto evocato dai due sindacalisti delle università inglesi è il reclutamento di così tanti studenti internazionali - soprattutto dell'Asia del Sud est - da parte delle università europee, nordamericane o dell'Australasia. È certo un modo per scambiare idee, ma dal punto di vista dell'impronta ecologica è pesante se si pensa ai viaggi: non sarebbe allora il caso di puntare sul capacity building delle università locali?
Ma la lotta al caos climatico passa anche attraverso i curricula universitari: la responsabilità rispetto al clima va introdotta come tema in tutti i corsi offerti. Qualche esperienza interessante è già in corso. Ad esempio, all'università di Nimes (Francia), studenti, docenti e staff sono stati impegnati nel 2007 in un programma a tutto campo per la promozione di comportamenti degni degli «ecocittadini» che ormai dobbiamo tutti essere, per una questione di sopravvivenza.