Manifesto: «Senza fondi, anno accademico a rischio»
UNIVERSITÀ - L'ultimatum del rettore Frati
Roberto Ciccarelli
Non si era ancora vista tanta fretta nell'annunciare che tutto resterà come prima. In due anni di cieca avanzata verso la dismissione dell'università pubblica, mai il ministro dell'istruzione Gelmini e quello dell'economia Tremonti avevano usato tanto olio di gomito per rispondere in tempo reale al «penultimatum» lanciato ieri mattina dal rettore della Sapienza di Roma Luigi Frati: il sistema universitario italiano deve essere rifinanziato oppure l'anno accademico verrà gravemente danneggiato, se non sospeso ad oltranza come hanno deliberato i consigli di facoltà di Architettura e di Lettere dello stesso ateneo di prima mattina.
In una conferenza stampa convocata in tutta fretta nel pomeriggio, il ministro Gelmini ha rispedito al mittente la richiesta di Frati: «Utilizzi le risorse che ha nel migliore dei modi, il mio ministero resta a sua disposizione per quanto è nella sua competenza». Se, al mattino, il rettore aveva spinto la «palla nel campo della politica», al pomeriggio la politica l'ha rispedita nel suo campo. Affronti da solo il buco di bilancio di 80 milioni di euro, non approvi il bilancio provvisorio per il 2011, «il commissariamento della Sapienza sarebbe un'ottima notizia» ha commentato il pasdaran berlusconiano Giorgio Stracquadanio.
Esito più fortunato ha avuto la richiesta della Conferenza dei rettori - che ha valutato positivamente le dichiarazioni dei due ministri - di prestare una particolare attenzione alla protesta dei ricercatori che, astenendosi dalla didattica non obbligatoria, hanno bloccato un sistema che da trent'anni si regge sul lavoro volontario di decine di migliaia di persone. A partire dal 15 ottobre, quando il Disegno di legge Gelmini dovrebbe essere approvato anche dalla camera, il ministro dell'economia Tremonti ha affermato che la finanziaria di dicembre prevederà una «ridotazione finanziaria». Purtroppo non ha fornito alcuna cifra, lasciando il campo aperto a tutte le ipotesi. La «ridotazione» cancellerà forse il taglio di 1,3 miliardi di euro al fondo di finanziamento ordinario (Ffo), oppure ogni spicciolo elargito dovrà essere detratto dal taglio iniziale? Tremonti non ha ancora detto nulla sui 40 milioni di euro necessari per ripianare i tagli agli stipendi dei ricercatori. In compenso, è stato confermato che il fondo destinato agli atenei più produttivi sarà portato al 10 per cento dell'Ffo.
Più che promesse, atti di fede nell'abituale gioco delle tre carte con il quale Mariastella Gelmini ha assicurato che le risorse a disposizione «non aumenteranno la pianta organica dell'università, ma riqualificheranno il ruolo dei ricercatori, garantendo il passaggio ad associato che dovrà avvenire in un clima di reciproca responsabilità e non a danno degli studenti». Tradotto: ricercatori tornate ad insegnare, in cambio il governo garantirà il vostro passaggio a professori associati (12 mila dovrebbe essere la cifra, su 25 mila), ma non garantirà più «posti di ricercatore a vita». Chi resterà fuori da questa ope legis mascherata (ma, per carità, chiamamola valutazione con criteri di eccellenza) resterà sul binario morto in attesa della pensione. Infine i precari, sui quali finalmente il governo ha detto la verità. Così concepita questa riforma è la loro pietra tombale: dovranno rassegnarsi alla nuova corsa del criceto dell'abilitazione nazionale e della tenure track senza fondi. Aspetteranno almeno altri sei anni per avere un posto in paradiso. «È assurdo chiedere ai ricercatori di continuare a fare i volontari per permettere al governo di portare in porto una riforma che smantella l'università pubblica - replica Alessandro Ferretti, ricercatore a Torino e uno dei coordinatori della Rete 29 aprile - Abbiamo il rapporto più basso tra ricercatori e studenti in Europa, decine di precari che verranno eliminati con grave danno per la stessa università e il governo dice agli studenti che è doveroso che i ricercatori lavorino senza alcun diritto?».
Sempre più convinto a minimizzare la situazione drammatica denunciata da un'università sull'orlo di una crisi di nervi, il governo non ha dato alcuna risposta alle mozioni della maggioranza dei senati accademici italiani - l'ultimo è stato quello della Sapienza martedì notte - che chiedono di fare qualcosa subito, e non tra due mesi, altrimenti il prossimo anno accademico non partirà. Un grido d'allarme che ha risvegliato dal suo torpore bipartisan persino il Pd che ieri ha abbandonato i lavori della commissione cultura alla camera dove è in discussione la riforma. |