Manifesto: Se il papa difende la corsia preferenziale per chi insegna religione
Al papa non è venuto neppure in mente che in Italia gli unici docenti che non sono stati "falciati" dalla recente riforma Gelmini sono proprio quelli di religione. Che dire di fronte a questa ingerenza della Chiesa? Di fronte a queste parole offensive per chiunque non sia un docente di religione?
Giuseppe Caliceti
Tutti ricordiamo come le parole del papa e della Cei, qualche mese fa, abbiano fatto ritirare al governo di Berlusconi la proposta di tagli alla scuola privata (spesso cattolica) in Italia. Non sono riusciti a fare tanto mesi e mesi di proteste di docenti e studenti e genitori fuori e dentro la famosa Onda anomala anti-Gelmini che, con i suoi tagli ministeriali al personale e ai fondi, sta mettendo definitivamente in ginocchio e smantellando la scuola pubblica italiana. Allora forse non è un caso se proprio ieri, 25 aprile 2009, il papa ha pensato bene di dire alcune cose sulla scuola e sulla libertà. La libertà religiosa, naturalmente. Per esempio, ieri il papa ha detto: «L'ora di religione è parte integrante della scuola italiana ed è esempio di "laicità positiva"». Già, certo, perché in passato aveva già spiegato a tutti gli italiani che esiste anche una «laicità negativa», quella che non prevede l'insegnamento della religione italiana insegnata da docenti scelti e selezionati dalla Chiesa nella scuola pubblica italiana. Ma il papa ha detto anche: «L'insegnamento della religione cattolica è parte integrante della storia della scuola in Italia». Parte integrante della scuola e della politica italiana, avrebbe potuto dire in modo più corretto. E ancora: «L'insegnante di religione costituisce una figura molto importante nel collegio dei docenti». Da cosa è dimostrato questo? Il papa l'ha capito da questo: il fatto che «con lui tanti ragazzi si tengano in contatto anche dopo i corsi». È così perché l'ha detto lui. A ogni modo il papa ha voluto dire tutti questi suoi pensieri solenni non perché ieri era la 64° Festa del 25 aprile, ma perché si concludeva in Vaticano il Meeting degli insegnanti di religione promosso dalla Cei, aperto giovedì scorso dal cardinal Angelo Bagnasco e dal ministro dell'istruzione Maria Stella Gelmini. Naturalmente, le sue parole sono state lungamente e appassionatamente applaudite dagli 8mila professori radunati nell'Aula Nervi. Anche perché, come tutti sappiamo, è difficile che un insegnante di religione possa trovare il lavoro di insegnante di religione - non in una scuola religiosa, ma nella scuola laica italiana - se non si professa "religioso"; anzi "cattolico". Insomma, hanno trovato un lavoro soprattutto grazie al papa. Ma il papa, ieri, forse perché era il 25 aprile, aveva proprio tanta voglia di parlare e perciò ha sottolineato che «l'altissimo numero di coloro che scelgono di avvalersi di questa disciplina è il segno del valore insostituibile che essa riveste nel percorso formativo e un indice degli elevati livelli di qualità che ha raggiunto». Al papa non è minimamente saltato in testa che, in Italia, per entrare di ruolo anche come prof di Lettere o Geografia la cosa migliore, aggirando le graduatorie, è entrare come docente di religione e poi magari chiedere un passaggio per insegnare altre materie. Al papa non è venuto neppure in mente che in Italia gli unici docenti che non sono stati "falciati" dalla recente riforma Gelmini sono proprio quelli di religione. Che dire di fronte a questa ingerenza della Chiesa? Di fronte a queste parole offensive per chiunque non sia un docente di religione?