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Manifesto: Scuola, esami a settembre

Con un decreto legge il ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni reintroduce da quest'anno le prove di riparazione. Gli studenti dicono no e preparano la protesta. Sindacati polemici sugli appalti ai privati

04/10/2007
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il manifesto

Simone Verde
Roma Tornano gli esami a settembre. Lo ha deciso ieri con un decreto di legge il ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni, anticipando a quest'anno una misura attesa per il 2008. L'urgenza del provvedimento è giustificata dal fatto che, come ha sottolineato lo stesso ministro, «sono troppi gli studenti ammessi con debito alla classe successiva, pochi quelli che lo recuperano mentre gli altri vanno avanti comunque. Sarebbe imperdonabile - ha concluso Fioroni - prendere atto di ciò e non fare nulla». Un quadro estremamente critico, dunque, certificato dai dati in possesso del ministero e da cui emerge un abbassamento esponenziale della preparazione degli studenti. In particolare per il 2006, anno in cui ben 42 promossi su 100 avevano una o più insufficienze, contro i 30 del 2005 e i 26 del 2003. Da qui, la necessità di prendere provvedimenti.
Pur decidendo il ritorno degli esami di riparazione, tuttavia, Fioroni ha mantenuto la promessa di evitare riforme radicali che potrebbero, a suo avviso, sconvolgere ancora una volta il mondo della scuola. L'attuale sistema dei crediti, perciò, è stato sostanzialmente mantenuto assieme ai corsi di recupero che hanno luogo durante tutto l'anno scolastico. Unica differenza, l'estensione delle attività didattiche integrative durante l'estate (per una spesa di 165 milioni di euro stanziati in Finanziaria) e l'inserimento di verifiche a inizio settembre. Esami, cioè, da cui si uscirà bocciati o promossi, impedendo il protrarsi di crediti e carenze fino al termine della carriera scolastica.
L'idea di incoraggiare l'estinzione dei debiti formativi è salutata con favore da buona parte del mondo della scuola. Ma non dagli studenti che bocciano il ritorno degli esami di settembre e annunciano una manifestazione per il 12 ottobre. Mentre i sindacati denunciano una decisione calata dall'alto e criticano duramente il passaggio in cui si stabilisce quali saranno i soggetti a farsi carico dei corsi di recupero. «Le istituzioni scolastiche - si legge nel testo di legge - possono individuare e/o approvare anche modalità diverse e innovative di attività di recupero attraverso l'utilizzazione dei docenti della scuola, e/o collaborazioni con soggetti esterni». Collaborazioni, oggetto sin da subito di durissime critiche. «In questo modo - afferma il segretario della Cgil scuola Enrico Panini - al posto di fornire risorse perché la scuola risolva al proprio interno i problemi che l'affliggono, si appaltano settori dell'attività didattica all'esterno. Si procede a una privatizzazione inaccettabile di cui conosciamo già i beneficiari. E si contravviene peraltro a un documento votato all'unanimità dal Consiglio nazionale della pubblica istruzione in cui si auspicava la fine del ricorso ai privati». Modello alternativo che viene proposto, è quello di docenti con meno classi e maggiormente disponibili per attività collaterali come il recupero degli studenti in difficoltà. Modello, però, che richiederebbe un investimento globale, anche finanziario, il quale, come denuncia Panini, «non sembra essere nelle intenzioni dell'esecutivo».
Toccando il tema delle disponibilità finanziarie, dell'impiego dei professori per i corsi estivi e proponendo di appaltare alcuni servizi a società esterne, perciò, il decreto Fioroni riaccende polemiche mai sopite su un rinnovo del contratto dei docenti scaduto da due anni. «Non si può dare denaro a soggetti privati - ribadisce il leader sindacale - quando i dipendenti del pubblico sono sottopagati. Non è accettabile». Tanto più che «per i servizi che i professori già impiegati a tempo pieno non riuscirebbero a fornire, le società ricorrerebbero agli oltre 100mila precari disponibili sul mercato». Precari creati dallo stato per risparmiare sulle nuove assunzioni e che invece di essere stabilizzati «verrebbero resi ulteriormente vulnerabili in un mercato del lavoro sempre più privo di regole e che ora si vorrebbe addirittura estendere».


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