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Manifesto: Rispondiamo tre volte no

Sembra che i partiti dell'Unione si siano decisi a combattere la battaglia per il «no» al referendum sulla controriforma costituzionale. Era tempo.

02/06/2006
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il manifesto

Gianni Ferrara
Sembra che i partiti dell'Unione si siano decisi a combattere la battaglia per il «no» al referendum sulla controriforma costituzionale. Era tempo. Devolution, nel suo significato politico- istituzionale, equivale a trasmissione, trasferimento del potere. Il termine è stato scelto da Bossi in vena di esterofilia, un po' sospetta per un padano, per sottolineare l'attribuzione alle Regioni, in via esclusiva - cioè senza possibilità che leggi della Repubblica possano interferire - di alcune importanti materie come l'assistenza e l'organizzazione sanitaria, l'organizzazione scolastica, la gestione degli istituti scolastici e la polizia amministrativa. Attribuzione che, accoppiata al cosiddetto federalismo fiscale e combinandosi con le valenze funzionali del «Senato federale», verrebbe a violare due principi fondamentali e perciò inviolabili della Costituzionemaviolati dalla «riforma» berlusconiana. Spezzerebbe la solidarietà politica, economica e sociale tra gli italiani proclamata dall'articolo 2 della Costituzione e svuoterebbe l'unità ed indivisibilità della Repubblica sancita all'articolo 5 della Costituzione. Realizzerebbe, tout court, il federalismo per le Regioni agiate, per poi realizzare quello per le classi agiate. Devolution, come si diceva, significa trasmissione, trasferimento del potere. Dadue secoli e più, da quando il costituzionalismo è entrato nella storia degli Stati, il potere può essere trasferito ad una sola condizione, inderogabile per la civiltà politica e giuridica.Unacondizione preclusiva: è impediente che si trasferiscaun potere non diviso,non limitato, noncondizionato. Violando ogni principio di civiltà politica e giuridica, la legge sottoposta a referendum trasmette sì un potere, malo raccoglie, lo compatta, lo incrementa. Lo trasferisce tutto intero al Primo Ministro. Questo nome non è nuovo nella storia statale italiana. Fu introdotto con la legge 24 dicembre 1925, n. 2263, che sostituì la figura del Presidente con quella di Capo del Governo, Primo Ministro. Non si volle aggiungere a questa denominazione, nel 1925, quella di «duce del fascismo». La si aggiunse dopo. Basterebbe questo precedente per ripudiare il cosiddetto «premierato» che nulla ha a che fare, comeè evidente, con la forma parlamentare vigente in Inghilterra. E non è bastato: subordinandogli, per legge costituzionale, i deputati, gli si è conferita anche la funzione legislativa. Mettendo nelle sue mani, al suo arbitrio, al suo capriccio, al suo interesse i diritti, tutti i diritti delle donne e degli uomini di questo Paese. Con una conseguenza aberrante ulteriore: dovendo la funzione giudiziaria essere sottoposta alla legge, potrebbe rientrare nell'ambito del potere del Primo ministro anche la determinazione della funzione giudiziaria, il contenuto delle sentenze. In aggiunta, i poteri di garanzia del Presidente della Repubblica vengono compressi, e su quelli della Corte costituzionale, quanto a nomina dei suoi componenti, peserebbe il potere di direzione del Primo ministro sui deputati, e la deriva localistica su quelli di nomina del Senato cosiddetto federale. Questa è la devolution. I saggi di Lorenzago e la maggioranza berlusconiana della XIV Legislatura hanno provato a trasferire il significato di devolution dalla biologia (ove significa degradazione, degenerazione, involuzione) alla politica, al diritto costituzionale, alla democrazia. Dobbiamo impedirglielo. Rispondendo tre volte no, per salvare la Repubblica, la democrazia, i diritti, tutti i diritti di tutti e di tutte.


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