Manifesto: Ricercatori dell'Invalsi in rivolta
Sono giovani, laureati e lavorano per l'unico istituto pubblico di ricerca educativa. Ora li sbattono fuori 51 posti a rischio All'Invalsi lavorano 72 ricercatori, tutti precari. Per più della metà di loro si annuncia il licenziamento a giugno
CINZIA GUBBINI
ROMA
È l'unico istituto pubblico italiano per la ricerca educativa eppure vive del lavoro di collaboratori, giovani ricercatori con contratti a termine. Che ora rischiano di essere sbattuti fuori, senza tanti complimenti. L'Invalsi - Istituto nazionale di valutazione del sistema dell'istruzione - sta attraversando un momento di crisi che la dice lunga sullo stato della ricerca italiana.
D'altronde, a guardare i numeri si capisce che il problema sta all'origine: l'organico è composto da una trentina di persone assunte (per la precisione comandate dal ministero dell'istruzione e dal comparto scuola) e da ben 72 collaboratori, che fino all'anno scorso - quando fu strappato un contratto annuale - hanno sempre «campato» di contratti semestrali. Per cinquantuno di loro la fine del prossimo contratto - fissata al 30 giugno - potrebbe significare il licenziamento. L'Invalsi nasce nel 2002 sulle ceneri del Cede, il cui nome qualcuno ricorderà perché è sempre stato legato a indagini di qualità nell'ambito educativo. Nel 2004, in seguito all'approvazione della riforma Moratti, l'Invalsi cambia di nuovo nome e diventa Invalsif (al sistema di istruzione viene aggiunto anche quello della formazione). Poi arriva la finanziaria per il 2006 che ha piazzato un bel 40% di taglio dei fondi ordinari degli istituti di ricerca. Il taglio riguarda proprio il capitolo dedicato al rinnovo dei contratti a termine. All'Invalsi c'è l'imbarazzo della scelta, visto la quantità di precari e il 5 aprile i lavoratori vengono informati che a giugno non saranno rinnovati 51 contratti. Si costituisce immediatamente un'assemblea del personale - appoggiata dai sindacati Cgil Flc, dalla Cisl Fir e dall'Uilpa-Urc - che annuncia lo stato di agitazione. Dal 13 aprile i ricercatori hanno deciso di mantenere lo stato di agitazione pur garantendo la continuità dell'attività di istituto, anche in risposta all'impegno - almeno formale - del direttore generale dell'istituto di incontrare i rappresentanti dei lavoratori per provare a cercare una soluzione. L'incontro è fissato per martedì, e c'è molta attesa.
La soluzione, per la verità, ci sarebbe anche se appare un éscamotage che non guarda in faccia alla necessità di stabilizzare il lavoro: tutto dipende, infatti, da come si vuole interpretare il decreto del 2004 che ha istituito l'Invalsif. «Se quel decreto viene inteso come un riordino dell'istituto, allora la finanziaria non ci tocca - spiega Saida Volpe, una delle ricercatrici - se invece viene inteso come una vera e propria istituzione, allora il taglio ci riguarda. Lo so, è paradossale, ma è così». Insomma, il destino di cinquantuno ricercatori è legato (anche) a una questione di esegesi. Ma non è l'unico paradosso: l'altro è che l'istituto non ha affatto problemi finanziari: i soldi ci sono. E lo dimostra il fatto che il capitolo di bilancio per l'appalto esterno delle ricerche funziona benissimo. E' che mancano le risorse proprio nel capitolo destinato al rinnovo dei contratti precari.
Eppure l'Invalsi ha una funzione istituzionale molto importante, si occupa di progetti essenziali anche con l'estero e in ambito europeo. Certo, sotto la reggenza Moratti l'istituto è diventato - probabilmente - uno degli enti più odiati dalle scuole. E' dall'Invalsi che escono gli odiatissimi test, volti a misurare i livelli di apprendimento degli alunni (a partire dalle elementari) con un approccio metodologico molto criticato dagli insegnanti. Va detto che di quei test si rumoreggia anche all'Invalsi, e che il ministero dell'istruzione ha chiamato diverse personalità esterne a decidere sul contenuto delle prove. In ogni caso, a parte i test, l'Invalsi si occupa di ricerca di qualità, e in questi anni ha formato ricercatori con competenze elevate. Che ora saranno costretti ad andare a bussare alle porte di istituti privati.