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Manifesto: Ricercatori a scadenza

Sei anni al massimo. «Poi l'ateneo assume i più meritevoli» Il governo vara la riforma Gelmini. Università come fondazioni, via libera ai privati

29/10/2009
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il manifesto

Iaia Vantaggiato
ROMA
Governance, valutazione della qualità, reclutamento e diritto allo studio. Queste le parole d'ordine del ddl per la riforma universitaria presentato da Mariastella Gelmini e approvato, ieri, in consiglio dei ministri. Un provvedimento, tiene a precisare il ministro dell'Istruzione, che rappresenta il frutto di un lungo lavoro di collaborazione con i ministri Tremonti e Meloni e che dovrebbe avere la priorità assoluta nell'utilizzo delle risorse derivanti dallo scudo fiscale.
Al di là delle parole d'ordine - in realtà vaghe tanto quanto le tre «i» della riforma della scuola di morattiana memoria - il ddl afferma il principio secondo cui l'autonomia deglia atenei deve essere coniugata «con una forte responsabilità finanziaria, scientifica e didattica». Tradotto: se gestite male, le università riceveranno meno finanziamenti e gli atenei in dissesto verranno commissariati. Per loro, «tolleranza zero». E anche se nulla, nel ddl, spiega chi giudicherà chi, chiara è l'intenzione di introdurre una «contabilità economico-patrimoniale uniforme». I bilanci, in sintesi, dovranno rispondere a criteri di maggiore trasparenza e le risorse verranno erogate direttamente dal ministero sulla base della qualità della didattica. Previsto anche l'obbligo di accreditamento di tutti i corsi di laurea e di tutte le sedi distaccate per evitare la creazione di insegnamenti e strutture non necessarie. Tradotto: tagli di facoltà.
Nel merito, il disegno di legge prevede un limite massimo di otto anni al mandato dei rettori e una distinzione netta tra senato e consiglio di amministrazione: entrambi più snelli, gestiranno, rispettivamente, la didattica e la spesa ma nel secondo a pesare sarà anche il giudizio di quattro membri esterni su dieci. Una cifra pari al 40%. Manager chiamati a decidere delle scelte delle università e un direttore generale - inedita figura che va a sostituire quella del direttore amministrativo - che delle sue scelte dovrà rispondere come manager a sua volta.
Seguono la valutazione dei professori da parte degli studenti e scatti di stipendio solo per i «docenti migliori», la possibilità per gli atenei di fondersi tra di loro, l'abilitazione nazionale per professori associati e ordinari e la distinzione tra reclutamento e progressione di carriera.
Ma «il frutto del lungo lavoro di collaborazione» matura ben oltre. Entro sei mesi dall'approvazione della legge di riforma - quindici articoli che ora dovranno passare al vaglio di camera e senato - le università dovranno adottare un codice etico (attualmente inesistente e nel ddl dai contorni assai sfumati) necessario a «garantire trasparenza nelle assunzioni e nell'amministrazione». Il codice, naturalmente, dovrà «evitare incompatibilità e conflitti di interesse legati a parentele».
Ma è il nodo dei ricercatori - «l'aspetto che più mi sta a cuore» come dice Gelmini - quello che più di tutti fa scattare l'allerta su un disegno di legge che fa di tagli e privatizzazione le sue bandiere. Mai più ricercatori a tempo indeterminato, recita il ddl, ma solo contratti di sei anni (la formula è quella del 3+3) al termine dei quali spetterà agli atenei decidere se il ricercatore è pronto per diventare associato. «Un modo - ha spiegato ieri il capo del dicastero di viale Trastevere - per mettere fine a un precariato che va avanti da anni».


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