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Manifesto: Ricerca pubblica, pochi soldi e male usati

Chi veramente favorisce la privatizzazione delle strutture pubbliche è chi non si preoccupa della loro efficienza

15/11/2009
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il manifesto

Domenico Parisi *

Chi veramente favorisce la privatizzazione delle strutture pubbliche è chi non si preoccupa della loro efficienza in termini di rapporto tra costi (tasse pagate dai cittadini) e benefici (servizi forniti ai cittadini). Se non si rendono le strutture pubbliche più efficienti, si danno argomenti a chi vuole privatizzarle. Questo vale per tutte le strutture pubbliche, anche per quelle che producono formazione (scuola e università) e ricerca scientifica (università e enti pubblici di ricerca).
Da questo punto di vista i recenti governi, sia di destra che di sinistra, in Italia non si sono comportati in modo molto diverso, cioè tutti e due male. Anzi, nonostante i disastri dell'attuale governo, uno dei pochi punti positivi che bisogna riconoscergli è quello di cercare di fare qualcosa per aumentare l'efficienza delle strutture pubbliche in generale e, per quello che qui ci interessa, dell'università (ma non della scuola e della ricerca). Se si vuole affrontare il problema la prima cosa da fare ovviamente è realizzare un oggettivo sistema di valutazione.
Il progetto del governo Prodi
Il precedente governo Prodi aveva approvato un buon progetto in questo campo, e questo progetto ora è stato fatto proprio dall'attuale governo. Il vero problema però non è quello di avere un buon sistema di valutazione, ma quello di dare seguito concreto e obbligatorio ai risultati della valutazione, premiando le strutture, i dirigenti, i gruppi e i singoli ricercatori che hanno ottenuto buoni risultati e punendo quelli che non li hanno ottenuti.
L'attuale governo sta facendo alcuni (pochi) passi in questa direzione per quanto riguarda le università, ma il provvedimento per la valutazione della ricerca pubblica proposto e approvato dal precedente governo e fatto proprio dal governo attuale, è carente nello specificare misure concrete e obbligatorie che facciano seguito ai risultati della valutazione. Valutare la ricerca è un processo costoso. Se non si dà seguito ai risultati della valutazione, perché spendere altri soldi?
I limiti del nostro sistema pubblico
Ottenere buoni risultati con i soldi spesi in ricerca è un obiettivo, ma non è il solo. Bisogna anche che la ricerca sia ben indirizzata. Da questo punto di vista il nostro sistema pubblico di ricerca ha due gravi limiti. Il primo è che l'università in Italia è ancora rigidamente divisa in discipline, con gelosie, interessi e meccanismi di potere che mirano a conservare le divisioni disciplinari. Invece in molti campi oggi la ricerca più avanzata cerca di andare al di là dei confini disciplinari, perché se la scienza è divisa in discipline, la realtà non lo è, e spesso i fenomeni studiati da una disciplina trovano la loro spiegazione nei fenomeni studiati da un'altra disciplina. Il secondo limite è che il principale ente di ricerca pubblico italiano, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, è ancora legato a una concezione ottocentesca della scienza secondo la quale esistono da un lato le scienze della natura, la fisica, la chimica, la biologia e le loro applicazioni e tecnologie, e dall'altro le discipline umanistiche, ma non esistono le scienze del comportamento umano e delle società umane, cioè la psicologia, la sociologia, l'antropologia, la scienza economica e quella politica.
Sottovalutazione di alcune scienze
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche è diviso in dipartimenti, ed è sorprendente che abbia nove dipartimenti dedicati alle scienze della natura e alle loro tecnologie e due dipartimenti dedicati alla «Identità culturale» e al «Patrimonio culturale», e neppure uno dedicato alle scienze del comportamento e della società.
Queste scienze avevano già uno statuto scientifico riconosciuto quando il Consiglio Nazionale delle Ricerche fu fondato nel lontano 1923 e hanno avuto un grande sviluppo nel corso del Novecento. Ma al di là del loro contributo alla conoscenza della realtà, si tratta di scienze che hanno grandi potenzialità dal punto di vista delle applicazioni, cosa che dovrebbe interessare il Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Tre esempi di applicazione scientifica
Facciamo tre esempi. I problemi che riguardano principalmente le scienze della natura e le loro tecnologie, cioè i problemi dell'ambiente, dell'energia, dei trasporti, della medicina, chiamano in causa anche i comportamenti delle persone e le organizzazioni sociali, per cui per risolverli è necessario avere il contributo delle scienze che si occupano dei comportamenti delle persone, dei loro modi di vivere, di produrre e di organizzarsi socialmente.
Un altro settore di applicazione riguarda le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, tecnologie che hanno grandi potenzialità di cambiamento per la vita delle persone ma pongono anche nuovi e difficili problemi. Le loro applicazioni si avvantaggiano di una collaborazione tra le tecnologie in quanto tali e le scienze cognitive e sociali, per l'innovazione e per la creazione di nuovi modi di comunicare, di apprendere, di fare cultura e di interagire e organizzarsi socialmente.
Il terzo tipo di applicazioni riguarda il fatto che la società oggi si trova di fronte a problemi difficili prima di tutto da riconoscere per quello che sono, e poi naturalmente da risolvere. Si tratta dei problemi riguardanti il sistema economico, il governo della società, i sistemi educativi, il posto delle donne nella società, il problema di come fare in modo che la scienza e la tecnologia, che oggi dominano la vita delle persone e della società, siano meglio conosciute e comprese dai cittadini che votano e siano meglio utilizzate da chi governa.
Per capire e cercare di risolvere questi problemi il contributo delle scienze cognitive e sociali è essenziale. Se vuole essere utile alla società, il Consiglio Nazionale delle Ricerche dovrebbe occuparsene.

* Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, Cnr


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